Sant'Agostino

 

LA FINE

DEL MILLENNIO

red  edizioni

 

 

Prefazione di Carlo Carena

 

Nelle Retractationes, il libro in cui al termine della vita rivide e corresse la sua produzione letteraria, Agostino scrive che dei ventidue libri che compongono La Città di Dio, l’opera che l’occupò a lungo verso il termine della vita, la prima parte, i dieci libri iniziali, è dedica­ta a confutare i nemici del cristianesimo, mentre la se­conda parte, gli ultimi dodici, espone la visione cristia­na della storia: l’origine e lo sviluppo delle due città che compongono il mondo e si scontrano nel tempo fino alla loro fine, con la fine dei tempi.

L’opera nasce da una drammatica crisi storica. L’im­pero romano tramonta, orde di barbari d’ogni stirpe lo assalgono e lo invadono da ogni punto cardinale; nel 410 Alarico arriva fin sotto le mura della «Città eter­na» e l’espugna. E un evento inaudito, che sconvolge menti e ideologie. Frotte di pagani esuli spargono la paura e l’idea che tanto sfacelo avvenga per l’abbando­no in cui sono stati lasciati gli antichi dèi e per il dif­fondersi della nuova religione cristiana. Agostino ri­sponde che non è così; tutto avviene per un grande di­segno trascendentale, che comprende l’arco dell’intera vicenda dell’umanità sulla terra e anche oltre, dalla creazione del primo uomo al formarsi dei grandi imperi orientali e poi di quello romano, in cui vivono e conti­nueranno a vivere le generazioni dei giusti e quella de­gli empi, l’umanità legata alla terra, apparentemente trionfante, e quella che quaggiù peregrina soffrendo ma mira al cielo, cui è destinata e cui giungerà quando tutto qui avrà termine e tutti saranno giudicati.

Il libro ventesimo descrive il grandioso giudizio in cui si renderanno i conti, in cui ogni cosa, ogni evento acquisterà le sue proporzioni e il suo significato vero, ora impercepibili nella pura esperienza terrena.


Giunti finalmente al bivio, i due cammini del Bene del Male si biforcheranno definitivamente in due direzioni di­verse. Gli angeli apostati e gli uomini dannati per le loro colpe saranno precipitati negli inferi, mentre gli angeli fedeli e gli uomini giusti, gli eletti, entreranno nella gloria eterna.

Il fondamento di questo quadro escatologico, avvol­to ancora nelle nebbie del futuro, sono le Scritture sante, ciò che i profeti e gli evangelisti ne hanno scrit­to anch’essi per visioni e allusioni o, nel caso di Mat­teo, capo 25, e di Giovanni, capo 5, per quanto ne ha annunciato lo stesso Cristo, o Giovanni stesso ha in­travisto nell’Apocalisse. Ed ecco Agostino teso all’in­terpretazione di quest’ultimo testo, arduo quant’altri mai, e successivamente della seconda lettera di Pietro e delle due di Paolo ai Tessalonicesi; per poi retrocede­re ai profeti dell’Antico Testamento, ancora in cerca di lumi su quel redde rationem, condotto da Cristo in persona. Chi non vi crede, chi non crede a queste Scritture sacre e al loro discorso escatologico, guardi alla vittoria del cristianesimo che già s’intravede e che fa balenare quale sarà la conclusione della nostra sto­ria, in quel momento in cui tutto sarà finito, tutti ri­sorgeremo e subiremo il contrappasso delle nostre col­pe o il premio delle nostre virtù.

Entro questo quadro dalle prospettive immense, l’Autore affronta altri problemi minori, a volte per noi sconcertanti, spesso di drammatica attualità nel mo­mento in cui sembra di esser giunti sulla soglia di una catastrofe che, comunque la si voglia interpretare, mi­naccia la continuazione stessa della vita sulla terra quasi ad opera di un Maligno che assume mille forme e seduce o assale in mille modi le forze del Bene. Agosti­no spiega sulla base della ragione e dei testi sacri, in una materia di vertiginosa profondità e oscurità, come avverrà la prima e poi una seconda resurrezione della carne nell’ultimo giorno; quali saranno le persecuzioni che ancora attendono i buoni alla fine del mondo, con la venuta dell’Anticristo; la separazione finale di buo­ni e cattivi ad opera del Trionfatore, il Cristo.

Allora tutto apparirà chiaro, su ogni uomo e su ogni sua singola azione; soprattutto apparirà perfettamente chiaro «che la vera e completa felicità appartiene solo a tutti i buoni, e che solo a tutti i cattivi tocca una me­ritata e suprema infelicità».

Quanto di provvisorio, di relativo al loro tempo, aleggia nella discussione e nelle conclusioni agostinia­ne, ed è ammesso dallo stesso Dottore là dove, al ter­mine del libro, confessa che se bisogna credere che tutti quegli eventi si verificheranno, ma come e in qual ordine ci sarà mostrato solo allora dall’esperienza più di quanto non afferri adesso la nostra intelligenza, si riscatta, come sempre in lui, in questa conclusione suprema; una conclusione che interessa la vita, ogni vita. Anche nell’astrazione del ragionamento e del­l’esegesi scritturale a cui fatichiamo ad aderire si apre un discorso morale ed esistenziale valido, e confortan­te o terrorizzante, per tutti i tempi e tutti gli uomini, credenti e non.

Agostino, figlio di Possidio, un funzionario locale, e di Monica, fervente cristiana, nacque a Tagaste, borgo della moderna Algeria, il 13 novembre del 354. Dopo gli studi nel paese natale e a Cartagine, intraprese la carriera d’insegnan­te di grammatica e retorica, dapprima in patria, poi in Italia. Tiepido verso la religione della propria infanzia, dopo altri percorsi in varie scuole filosofiche, dal manicheismo al neo­platonismo, nel 386, sotto l’influenza del vescovo Ambrogio e con l’assistenza amorosa della madre, si convertì e venne battezzato a Milano,

Tornato in Africa, nel 391 viene ordinato sacerdote e cinque anni più tardi eletto vescovo di Ippona. Alla sua vasta produ­zione filosofica e teologica unisce allora gli impegni pastorali, sia nella cura del proprio gregge, sia nella partecipazione ai concili e nella lotta contro gli eretici che infestano la Chiesa anche in quella regione.

NeI 430 Vandali e Alani guidati da Genserico invadono l’Africa settentrionale. Agostino muore in Ippona assediata il 28 agosto di quell’anno.

Lascia una marea di scritti, fondamentali per lo sviluppo delle dottrine del cristianesimo, in particolare sulle questio­ni della Grazia, e di alto valore letterario. Basti citare per quest’ultimo aspetto le Confessioni, in cui egli narrò le pro­prie vicende ed esperienze interiori nel corso della sua giovi­nezza e fino alla conversione; e per la parte dogmatica il De Trinitate e De grafia et libero arbitrio, oltre ai commenti della Sacra Scrittura, alle prediche e all’epistolario.

La Città di Dio, summa delle sue idee sul mondo e sulla storia, scritta fra il 413 e il 427, è la più vasta delle sue opere e quella che ha avuto la più ampia risonanza anche al di fuo­ri del pensiero cristiano.

 


LA FINE DEL MILLENNIO

    (La città di Dio, libro XX)                                                                                           Continua……