Tratto da: Le Grandi Profezie Autore Franco Cuomo Newton & Compton Editori
L'Apocalisse di Giovanni Terza e ultima parte
La madre di ogni prostituzione
Nel santuario di Dio, sopra le nuvole, Giovanni vede consegnare a sette angeli sette coppe d’oro, e sente una voce che ordina: «Andate a versare sulla terra le sette coppe del terribile castigo divino». Gli angeli eseguono, e si formano sulla pelle degli uomini orrende piaghe, i pesci muoiono negli oceani, fiumi e sorgenti si arrossano di sangue perché coloro che sparsero quello dei giusti siano ora costretti a berlo, il sole diventa rovente. Insieme a un insopportabile calore si spande sulla terra una fitta oscurità, dopo che la quinta coppa è stata versata sul trono del mostro. La sesta è versata nel fiume Eufrate, che viene così prosciugato e trasformato in una strada «pronta per i re dell’Oriente». Irrompono a questo punto nella visione tre demoni, che saltano come rane dalla bocca dei tre mostri infernali. Fanno sfoggio di miracoli e radunano i re della terra per la battaglia finale «in un luogo che in ebraico si chiama Armaghedon». Il settimo angelo versa a questo punto nell’aria la sua coppa, e una voce dal santuario dice: «E fatto!». Segue uno spaventoso cataclisma, crollano le città del mondo, le isole scompaiono, le montagne non esistono più, e uno dei sette angeli invita Giovanni a «vedere il castigo della grande prostituta». Lo Spirito s’impossessa di lui, mentre una forza divina lo trasporta nel deserto. «Là vidi una donna seduta su un mostro di colore scarlatto, tutto coperto di parole di bestemmia. Il mostro aveva sette teste e dieci corna. I vestiti della donna erano di porpora e di scarlatto. Portava gioielli d’oro, perle e pietre preziose, e teneva in pugno un calice d’oro dal contenuto ripugnante: le impurità della sua prostituzione. Sulla sua fronte era scritto un nome misterioso: “Babilonia”, la grande città, la madre delle prostituzioni e delle oscenità di tutto il mondo. Allora mi accorsi che la donna era ubriaca del sangue del popolo di Dio e di tutti quelli che sono morti per la loro fede in Gesù...». Giovanni, di fronte a questa visione, è preso da grande stupore, ma interviene l’angelo a tradurne in immagini profetiche il senso: «Perché ti meravigli? Io ti spiegherò», gli dice, «il significato misterioso della donna e del mostro che la sostiene, quello che ha sette teste e dieci corna. Il mostro che hai visto rappresenta uno che viveva una volta e ora non più, ma sta per salire dal mondo sotterraneo e andare verso la sua distruzione definitiva...». Non è difficile decifrare il messaggio, ma «ci vuole un po’ d’intelligenza», dice l’angelo. «Le sette teste sono i sette colli sui quali la donna è seduta. Sono anche sette re. Cinque sono già caduti, uno regna ancora, e il settimo non è ancora venuto. Quando verrà, durerà poco. Il mostro che viveva una volta e ora non più è l’ottavo re, ma è uno dei sette, e va verso la distruzione definitiva. Le dieci che vedi sono dieci re, che non sono ancora arrivati a regnare, avranno la possibilità di regnare per un’ora insieme con il mostro. I dieci re sono tutti d’accordo: vogliono cedere al mostro la forza e il loro potere. Combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché egli è Signore sopra tutti i signori e Re sopra tutti i re...». A coronamento della profezia, un altro angelo scende dal cielo e annuncia:
È caduta! La grande Babilonia è caduta E diventata dimora di demoni, rifugio di tutti gli spiriti immondi, nido di uccelli impuri e ripugnanti. Tutte le nazioni hanno bevuto il vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con lei e i mercanti si sono arricchiti dei suoi tesori favolosi.
Tutte le Babilonie del mondo
Il riferimento alla caduta dell’Impero romano, che all’epoca perseguita i cristiani, è manifesto. Ma anche questa profezia deve essere intesa, come quella dei sette flagelli, in un’ottica universale, proiettata nel tempo al di là dell’evento cui si riferisce. Il fatto stesso che per designare simbolicamente Roma venga evocata nella profezia Babilonia, patria di idoli e di tiranni, terra di esilio e sofferenza per il popolo d’Israele, corrisponde chiaramente all’intento di evidenziare —come per le sette piaghe d’Egitto — una continuità che ha radici nella tradizione biblica. Serve a far comprendere, in breve, che altre Babilonie sono cadute prima di Roma e altre cadranno in futuro, per avere versato il sangue del popolo di Dio nell’accezione più estesa di umanità, non soltanto dei cristiani o degli ebrei. Cadranno le roccaforti dei totalitarismi, ma anche — è questo il senso della profezia, molto esplicito — i templi delle nuove idolatrie, nei quali si venerano denaro e vanità. E significativo che il racconto dell’evangelista sia questa volta redatto — diversamente da quanto accade altrove — in una forma futura, grazie alla quale si riconosce nel disfacimento di Roma quello di ogni impero a venire. Babilonia, dunque, deve ancora cadere. E tra noi, e la sua corruzione è riconoscibile a vista.
In un giorno solo si abbatteranno su di lei tutti i castighi: malattia mortale, lutto, carestia, e sarà consumata dal fuoco. Potente è Dio che l’ha condannata. I re della terra, che vissero con lei una vita di lusso e di prostituzione, piangeranno per lei e si lamenteranno quando vedranno il fumo della città incendiata... I mercanti della terra piangeranno e si lamenteranno per causa sua, perché nessuno comprerà più le loro merci: oro, argento, pietre preziose, perle, tessuti raffinati, porpora, seta, scarlatto, profumi, oggetti d’avorio e di legno pregiato, di bronzo, di ferro e di marmo, cannella, spezie, aromi, olio profumato, vino e olio, farina e frumento, bovini e ovini, cavalle e carrozze, e perfino esseri umani venduti come schiavi... Capitani e marinai, naviganti e chiunque altro lavora sul mare, staranno anche loro ben lontani, guarderanno il fumo della città incendiata e diranno: «Non c’è mai stata una città grande come questa...».
Babilonia non è solo una città crudele oltre ogni dire, nella quale «c’è il sangue dei profeti e dei santi, e di tutti quelli che sono stati ammazzati sulla terra», ma una grassa e opulenta predatrice, che domina i mercati mondiali. Deve le sue ricchezze al furto e soprattutto al raggiro. «Con le tue stregonerie hai ingannato tutte le nazioni», le grida contro un angelo, dopo avere gettato in mare una pietra grande come una macina di mulino per mostrare in che modo scomparirà per sempre. «Nessuno la vedrà più. In te non si sentirà più suonare l’arpa né cantare, non si vedranno più né flauti né trombe. Non ci sarà più nessun artigiano, non si sentirà più il rumore del mulino, non si vedrà più la luce delle lampade, non si udrà più voce di sposo o di sposa...». Il resto è celebrazione della gloria di Dio, ma anche continuazione della battaglia, per una soluzione finale che però non è definitiva. A conferma di quella continuità senza tempo che la profezia parrebbe sottintendere.
La sciarada dei mille anni
Schiere di bianchi cavalieri sgominano il mostro e tutti i re della terra, suoi alleati. Stormi di uccelli scendono sul campo a divorare le carni dei vinti. La bestia e il suo falso profeta vengono gettati vivi in un lago di fuoco, mentre il drago (cioè Satana, il serpente antico) è incatenato per mille anni nel mondo sotterraneo. Così, con l’enunciazione di questo termine di mille anni, dopo il quale il drago dovrà essere sciolto «per un periodo di tempo», ha origine la più controversa e tormentosa delle paure scatenate dall’Apocalisse tra i fedeli. Si è dapprima creduto che l’anno Mille avrebbe segnato la liberazione dell’anticristo, quindi una catastrofe paragonabile alla fine del mondo; poi, scaduto tale termine senza che l’eventualità si realizzasse in maniera plausibile, si è fatto ricorso a lambiccati calcoli per individuare nuove scadenze. Si è indicata tra le altre date apocalittiche, com’era del resto prevedibile, il Duemila. Si è cercato in tutti i modi di individuare i segni dell’incipiente disastro o addirittura identificare un anticristo vivente o vissuto. C’è chi ha creduto di riconoscerne i tratti nell’imperatore Nerone, chi negli artefici di più recenti persecuzioni del genere umano, come Hitler o anche Stalin. Non sono mancati vaniloquenti stregoni disposti a millantare un’identità messianica in tal senso, proclamandosi «grande bestia» e assumendo per proprio simbolo — come l’inglese Aleister Crowley2 in questo secolo — il 666. Ma nulla di attendibile si è potuto dedurre intorno al senso di quell’indicazione sui mille anni della prigionia di Satana, e sulla nuova guerra che si renderà necessaria per poterlo definitivamente gettare nel lago di fuoco. E quindi sensato ritenere, coerentemente con lo spirito anche metaforico dell’intera profezia di Giovanni, che il computo dei mille anni non debba essere inteso in senso cronologico. Si parla di mille anni come si è parlato poco prima di un’ora per indicare il tempo, limitatissimo, in cui regneranno ancora con il mostro i re della terra, quando riaffiorerà dall’abisso.
Le forze oscure dell'anima
Si possono interpretare i mille anni del regno di Dio — e la breve parentesi della sua interruzione, un’ora sola — come una sorta di lezione sulla pericolosità costante del male, che, per quanto ridotto all’impotenza e incatenato nelle profondità più oscure, può sempre riaffiorare, provocando nuovi devastanti conflitti. Vale per la società nel suo complesso, vale per la coscienza individuale. Per questo è necessario vigilare, secondo l’insegnamento di Giovanni, allo scopo di cogliere al loro primo manifestarsi i segni di una ripresa del male che credevamo di avere sconfitto, prevenendone l’insorgere. Lo scadere dei mille anni significa dunque la necessità di una nuova guerra contro le forze oscure dell’anima come dell’universo, da respingere nelle prigioni in cui già furono un tempo segregate. Soltanto dopo questa nuova vittoria — che può anche interpretarsi come una verifica dell’effettiva capacità umana di neutralizzare le proprie pulsioni negative — sarà possibile conoscere «la santa città, la Nuova Gerusalemme, ornata come una sposa pronta per andare incontro allo sposo». Si conclude in questo modo esaltante, dopo tante visioni terrificanti, la profezia di Giovanni, chiamato da un angelo a contemplare «la sposa dell’Agnello», nella cui magnificenza è ravvisabile il presagio di una felicità senza fine.
Aveva lo splendore di Dio, brillava come una pietra preziosa, come una gemma cristallina. Le sue mura erano solide ed elevate, con dodici porte. Alle porte stavano dodici angeli, e sulle porte erano scritti i dodici nomi delle tribù d’Israele... Le mura poggiavano su dodici basamenti, e su ciascuno era scritto il nome di uno dei dodici apostoli dell’Agnello. L’angelo che parlava con me aveva una canna d’oro per misurare la città, le sue mura, le sue porte. La città era quadrata... L’angelo la misurò: dodicimila stadi [più di duemila chilometri]. La lunghezza, la larghezza e l’altezza erano identiche. Poi misurò le mura: centoquarantaquattro cubiti [settanta metri] secondo la misura umana che usava l’angelo. La città era d’oro puro, splendente come cristallo; le sue mura erano di diaspro. I basamenti delle mura erano ornati di pietre d’ogni genere: di diaspro il primo, di zaffiro il secondo, di calcedonio il terzo, di smeraldo il quarto. Il quinto basamento era di sardonice, il sesto di cornalina, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. Le dodici porte erano dodici perle, ognuna ricavata da una perla sola. La piazza era d’oro puro, splendente come cristallo... Nulla di impuro vi potrà entrare, nessuno che pratichi la corruzione o commetta il falso...
La Gerusalemme Celeste non è soltanto una beatifica visione, ma un contenitore di doni reali per quanti avranno sconfitto il male — che è in loro, e fuori di loro — in nome della rivelazione evangelica. Scorre tra le sue mura «il fiume dell’acqua che dà la vita, limpido come cristallo, proveniente dal trono di Dio e dell’Agnello». Cresce sulla sua piazza «l’albero che dà la vita», il cui fogliame guarisce le nazioni. Con queste immagini Giovanni esce dalla metafora per assicurare gli uomini che «Dio toglierà ogni maledizione alla terra». Non può dunque il messaggio dell’Apocalisse leggersi come una minaccia, quali che siano gli orrori descritti per esemplificare la crudeltà delle prove da superare al fine della rigenerazione. L’apostolo invita e Gesù conferma, in finale: «Chi ha sete venga: chi vuole l’acqua che dà la vita ne beva gratuitamente». Che c’è di catastrofico in questo?
2 Crowley, che amava definirsi «la grande bestia selvaggia» o anche «il santo di satana», fu tra i più torbidi maghi neri del Novecento. Deve buona parte della sua fama alle sue pratiche di magia sessuale e ai legami con la setta Golden Dawn (Alba dorata). Morì pazzo ed eroinomane nel 1947. Vedi cap. 28.
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