Tratto da: Le Grandi
Profezie Autore Franco Cuomo
Newton & Compton Editori
Apocalittici
aureolati
Le profezie medievali
gravitano nella stragrande maggioranza sulla fine del mondo; e la Chiesa, per
quanto diffidente o addirittura contraria in certi casi all'abuso di
millenarismo, dovette in linea di massima tollerare questa diffusa tendenza
dei predicatori - e dei veggenti, santi o ciarlatani - a rimestare nelle più ancestrali paure umane.
La dottrina, del resto, non
era pregiudizialmente contraria all'affermazione di uno spirito profetico che canalizzasse terrori e speranze verso prospettive contemplate
dalle Scritture, purché ciò non degenerasse in isteria nichilista e letale
abuso di espiazione. Era di questo avviso il maggiore
teologo dell'ortodossia, Tommaso d'Aquino, che nella Summa1 riconosceva alla profezia
possibilità di ispirazione divina, in quanto
disposizione dello spirito - quindi proveniente dal Creatore - che poteva
lecitamente investire questioni sia religiose che politiche, finalizzate
all'orientamento delle azioni umane (ad dìrectionem humanorum actuum).
Non ci furono dunque limitazioni
al dilagare di oracoli e predizioni apocalittiche per
un lungo lasso di tempo dopo il Mille, dato che il primo divieto formale di
preconizzare la fine del mondo si ebbe soltanto nel 1516, per iniziativa del
quinto concilio lateranense. Si volle così tentare di arginare l'uso
scriteriato e spesso intimidatorio delle profezie da parte di predicatori
talvolta improvvisati, ma non si può dire che
dall'editto conciliare sortissero effetti decisivi, tali da scardinare
nell'animo popolare il diffuso sentimento dell'attesa escatologica. Non ci si
deve perciò stupire per il credito acquisito presso vastissime masse di devoti
dalle profezie di alcune grandi personalità dell'Occidente cristiano,
contrassegnato in quei secoli da un crescendo di fervori mistici, estasi e
visioni.
1
Francesco
d'Assisi e la «potestà dei demoni»
Vennero attribuite a Francesco
d'Assisi profezie relative a «tempi gravidi di grandi tribolazioni e
afflizioni, nei quali [...] la carità di molti si raffredderà e sopraggiungerà l'iniquità
dei perversi». In tali tempi «la potestà dei demoni verrà lasciata libera più
del solito», si legge più avanti nel testo, che fa parte degli Scritti latini
del santo,2
e «la purezza immacolata del nostro ordine come di altri verrà scossa». Sembra
evidente il riferimento alla contaminazione eretica che coinvolgerà certe
compagini monastiche, non soltanto francescane, a causa dei loro eccessi
pauperistici e di altri dissensi nei confronti di Roma. Ma quel che più conta è
che Francesco preveda con oltre un secolo d'anticipo il grande scisma
d'occidente:
Pochissimi dei
cristiani di vero cuore e di carità perfetta obbediranno al sommo pontefice e
alla romana Chiesa. Un aspirante al papato, senza essere canonicamente eletto,
in quella tribolazione metterà in pratica ogni astuzia per insinuare in molti
la corruzione del suo cuore.
Si
moltiplicheranno allora gli scandali, la nostra religione sarà divisa, e
moltissime ulteriori suddivisioni si succederanno tra quanti non avranno
resistito all'errore, anzi vi avranno consentito. Ci saranno tali e tante
opinioni e scismi nel popolo, nei religiosi e nel clero, che se quei giorni
non fossero abbreviati secondo la promessa evangelica e se non fossero
sostenuti dalla misericordia di Dio verrebbero travolti dall'errore anche gli
eletti.
La virtù in quei
giorni sarà coperta dal silenzio dei predicatori, oppressa, negata. La santità
della vita verrà derisa.
Allo stesso modo di altre
rivelazioni apocalittiche, la profezia di Francesco distingue tra «coloro che nella
religione s'intiepidiranno, né resisteranno costantemente alle tentazioni
previste come prova per gli eletti», e quelli che invece «per amore e zelo
della verità si dedicheranno alla pietà, sopportando persecuzioni e ingiurie».
A questi ultimi soltanto «apparirà un rifugio in Dio, che li salverà poiché sperarono
in Lui».
2 Scritti latini di san
Francesco d'Assisi, editi nel 1623 ad Anversa dall'annalista francescano Luca
Wadding, comprendono ammonimenti, riflessioni ed epistole ritenute autentiche
solo in parte.
Francesco di
Paola, profeta dell'«ultima religione»
Ebbe grande fama di profeta
anche Francesco di Paola, il santo taumaturgo formatosi nella solitudine della
vita eremitica in una selvaggia forra calabrese, dove in gara di umiltà con il
suo grande omonimo di Assisi fondò l'ordine dei frati «minimi». Gli si
attribuiscono miracoli spettacolari, come l'attraversamento dello stretto di
Messina sul proprio mantello, per il quale è considerato patrono dei marinai
italiani. Spezzò una volta una moneta d'oro dalla quale sgorgò sangue, sotto
gli occhi di Ferrante d'Aragona, re di Napoli, per mostrargli quanto fossero
inique le tasse che imponeva ai propri sudditi.
Non faceva mistero, nonostante
il suo carattere schivo, dei suoi poteri divinatori, indirizzati nelle sue
intenzioni a fare luce sul futuro della Chiesa. «Mi è concesso spirito di
profezia», scriveva il 5 febbraio 1482 al nobile Simone di Limena, signore di Spoleto,
«e dire spesso cose meravigliose da venire sopra il fatto della riformazione
della Santa Ecclesia dell'Altissimo».
Profetizzò l'avvento di un'era
di rigenerazione, nella quale «non potrà più essere al mondo niuno signore che
non sia dell'ordine della sancta milizia dello Spiritu Sancto». La profezia non
riguarda la nascita di un nuovo ordine cavalieresco, come alcuni pretesero,
tratti evidentemente in inganno dal fatto che in essa si fa cenno a una fratellanza
di «cavalieri armigeri, sacerdoti solitari e ospitalieri piissimi», che erano
le qualità ricorrenti nei monaci guerrieri di un tempo, come ad esempio i
templari. Riprende piuttosto il messaggio dell'Apocalisse sul giudizio finale,
nel corso del quale si salveranno coloro che sono segnati dal Signore.
Si legge infatti nella
profezia che i signori di questa milizia «porteranno il segno di Dio vivo in
petto ma molto più nel cuore». Tale segno però «non sarà concesso che a quelli
che hanno da essere salvi e electi». Non c'è dubbio, quindi, che per questo suo
chiarimento Francesco di Paola debba essere collocato tra i veggenti
apocalittici più aderenti alla rivelazione di Giovanni.
L'ordine a cui fa riferimento,
infatti, sarà «il gran fondatore di una nuova religione [l'ultima religione,
come sottolinea più avanti] la quale distruggerà la setta maomettana, estirperà
gli eretici e tutti i tiranni del mondo, piglierà per forza d'armi un grande
regno e farà un ovile e un solo pastore, e indurrà il mondo a un vivere santo e
regnerà fino alla fine dei secoli». È questo, in tutta chiarezza, il regno
della promessa che rende salvifico il messaggio dell'Apocalisse di Giovanni e
dei suoi epigoni. Chiaro è il cenno agli eletti che vi confluiranno, chiaro il
riferimento alla sua durata eterna, chiarissimo l'annuncio della conversione
universale all'unica religione, anche se crudelmente rappresentato senz'alcuna
misericordia - com'era, del resto, nello stile dell'epoca - per la «setta
maomettana» e per gli eretici tutti.
Giunto a questo traguardo di
pace, scrive Francesco in una delle sue lettere profetiche, il mondo intero
«non avrà che dodici re, un imperatore e un papa e pochissimi signori, e
questi saranno tutti santi». Espressa così semplicemente questa sua visione
armonica della società umana, retta da tanti governanti quanti furono gli
apostoli, equamente sottoposti ai supremi detentori di autorità divina e temporale,
il santo innalza un fervido ringraziamento al Signore per essersi degnato di
dargli «spirito profetico con grandissime profezie, non oscure come agli altri
suoi servi».
Non ha dubbi nella «soavità di
divino amore» che tali rivelazioni susciteranno in quanti «si diletteranno a
leggerle spesso e prenderne copia con grandissimo fervore, che tale è la
volontà dell'Altissimo».
Francesco di Paola profetizzò
con tre mesi di anticipo la propria morte, ritirandosi ad attenderla in una
cella dove lo colse il 2 aprile
Santa Brigida
e l'oracolo delle feste incrociate
Si deve a santa Brigida di
Svezia (Birgitte Persson, 1303-1373) una profezia del tutto fuori
dall'ordinario, vincolata a precise cadenze temporali. Sortiva effetti
ogniqualvolta nel calendario si verificavano particolari condizioni. Eccone il
testo, stilato nel 1360 e rinvenuto in una cassa di piombo nel cimitero
benedettino di Napoli:3
«Quando la festa di san
Ed è indubitabile che di guai
seri si trattò nel 1791, quando la congiunzione si verificò nel pieno
insorgere dell'ordine rivoluzionario in Francia, destinato a provocare
contraccolpi duraturi nell'intera società civile. La santa aveva profetizzato
per quell'anno «l'ira di Dio sopra tutta la terra».
Le date tornarono a coincidere
nel 1848, nel corso di uno dei periodi più tormentati del secolo, allorquando i
moti risorgimentali italiani scossero antichi equilibri, con esiti sanguinosi.
Vacillò quell'anno anche il potere temporale dei papi, e Pio IX fu costretto
alla fuga. Brigida aveva previsto per quella data l'insorgere di «gente contro
gente».
L'ultimo funesto intreccio
delle sei festività si ebbe nel 1943, nel mezzo della più spaventosa guerra
d'ogni tempo, con il coinvolgimento di tutti i popoli della terra. Torneranno
a congiungersi nel 2038, anno che però va oltre le profezie di santa Brigida,
le quali prevedono la fine del mondo per il 1999, quando «i luminari si
estingueranno».
Ricorrono negli oracoli della
veggente svedese, trascritti in latino dai suoi confessori nel libro delle
Rivelazioni, diversi eventi storici contraddistinti da valenze religiose oltre
che politiche. In quest'ambito si collocano le previsioni, da lei espresse
nell'attraversare la Grecia diretta in Terrasanta, sulla fine dell'Impero
cristiano d'Oriente e sull'asservimento delle popolazioni balcaniche al giogo
ottomano.
«L'impero, i regni e le
signorie [dei greci] non saranno mai sicuri né in pace, ma soggetti a nemici
dai quali dovranno patire danni orrendi e lunghe miserie...».
La presa di Costantinopoli da
parte di Maometto II il 29 maggio 1453 e l'eroica morte in battaglia di
Costantino IX, ultimo imperatore d'Oriente, segnarono l'avverarsi della
profezia, poco più di ottanta anni dopo che era stata formulata.
Risaltano inoltre tra le
Rivelazioni sorprendenti cenni alla rivoluzione francese, indicata come il
moto che avrebbe spazzato via «il giglio regnante» (emblema della monarchia
capetingia) per inalberare «il segno dell'empietà» (l'albero della libertà).
Riferimenti più specifici consentono d'individuare, nel contesto di tali
profezie, la figura di Napoleone, definito «l'aquila che raccoglierà la corona
perduta dal giglio».
«In quel tempo uscirà
dall'isola [la Corsica, in tutta evidenza] un terribile figlio dell'uomo,
recante la guerra nel valoroso suo braccio, che a capo dei galli combatterà
contro gli itali, germani, russi, iberici e turchi, sovvertendo ogni cosa...».
È l'epopea, secondo Brigida,
del «figlio di un uomo oscuro [di nascita plebea] venuto dal mare». Avrà il
merito di «portare l'ammirabile segno nella terra della promessa», farà cioè
conoscere la croce agli arabi, dall'Egitto alla Siria, ma provocherà grande
«tribolazione nella Chiesa di Dio», invadendo Roma e facendo rapire dai suoi
soldati il papa (Pio VII, 1809).
«Guai, guai, guai, quando il
figlio [dell'uomo oscuro] siederà sul trono del giglio...».
L'interesse di tali profezie è
nei riscontri che se ne ebbero a distanza di secoli, ma va pure detto che
Brigida di Svezia ebbe notevole popolarità in vita per le sue straordinarie
visioni, finalizzate spesso a incidere come monito e come consiglio sui
comportamenti di papi, principi e regnanti. Di grande significato fu il
messaggio con il quale indusse Gregorio XI a spezzare la «cattività avignonese»
rientrando a Roma.
Il papa tergiversava, contro
le aspettative di tutta la cristianità, e allora Brigida, ormai prossima alla
morte, gli comunicò di avere appreso in visione dalla Madonna che sarebbe morto
se non avesse riportato il papato a Roma.
«Ben poco potrà giovargli la
scienza dei medici, né l'aria buona della sua terra», aveva detto di lui la
Vergine, secondo Brigida, «se non si decide a tornare...».
Il papa, impressionato, si
affrettò a eseguire l'ordine «della Madonna», riportando a Roma la cattedra di
Pietro nel 1374, dopo sessantanni di umiliante esilio in Francia. Brigida era
da poco scomparsa, in odore di santità non soltanto per le sue profezie, per
le visioni ricevute in estasi e gli altri fenomeni mistici di cui era stata
protagonista, ma per l'intensa opera di carità svolta dall'estremo nord
all'assolata Terrasanta, per i suoi appassionati pellegrinaggi e per la
fondazione, infine, dell'ordine del Santo Salvatore, detto "delle
brigidine".4
3 Trattasi di estratto di antica copia autenticato
nel 1810 da Francesco Famasone Biondi, pubblico notaio.
4 Birgitte Persson, di origine nobile e barbarica,
discendeva per parte materna dal re dei goti. Nativa della provincia svedese di
Uppland (1303) restò scossa a dieci anni per un sermone sulla passione di Gesù,
che gli apparve nottetempo in visione. Andata sposa del principe Ulf Gudmarsson
a tredici anni, ebbe otto figli. Rimasta vedova a poco più di trent'anni, si
ritirò nel convento cistercense di Alvastra e fondò l'ordine del Santo
Salvatore, che ebbe la sua prima abbazia a Vadstena, in Svezia. Conclude la sua
esistenza a Roma (1373), dove si era stabilita di ritorno da un pellegrinaggio
in Terrasanta.
Le «sette armi» di Caterina da
Bologna
Un'altra Caterina, anche lei santificata dalla Chiesa, si
distinse qualche decennio più tardi nell'uso della profezia come strumento
d'influenza politica e religiosa. Fu Caterina dei Vigri, una suora clarissa
molto popolare a Bologna nella prima metà del Quattrocento, che come santa
Brigida previde la caduta di Costantinopoli e la morte dell'ultimo imperatore
cristiano d'Oriente.
Notevole fu il peso delle profezie di Caterina da Bologna - e
delle sue miracolose intercessioni, a quanto si tramanda - sulle vicende della
città. Profetizzò nel 1443, mentre infuriava l'assedio posto in essere dal
conte Luigi dal Verme di Milano, che le milizie di quest'ultimo sarebbero
state respinte dai bolognesi guidati da Annibale Bentivoglio. Il che accadde
alla vigilia dell'Assunta, data che accrebbe il suo credito divinatorio,
considerata la fama che aveva di potente mediatrice di grazie oltre che
veggente.
La famiglia Bentivoglio ricorse ancora nei suoi vaticini, quando
ne previde la fine, che effettivamente sopravvenne dopo la sua morte.
Raccolse le sue profezie in un libro denominato, come quello di
santa Brigida, delle Rivelazioni. Descrisse accuratamente il suo itinerario
mistico e visionario, come Caterina da Siena, in una sorta di confessione
intima che chiamò Trattato delle sette armi spirituali.
Suor Domenica e le «scelleraggini»
dei fiorentini
Molte furono le sibille aureolate della cristianità medievale.
Prevalse in tutte, con rare eccezioni, una vocazione escatologica intessuta di
riferimenti ali'Apocalisse di Giovanni e ai suoi simboli.
Parlano diffusamente dell'anticristo, figura centrale della
confusione catastrofica che precede il giudizio finale, Margherita da Cortona
e Ildegonda da Colonia. Parla di mostri e cavalieri celesti, di angeli e di
venti rigeneratori, Ildegarda di Bingen. Parla dell'ira divina in termini che
sembrano anticipare i moderni messaggi mariani di Fatima e La Salette, con
profusione di richiami alla redenzione dei malvagi, la monaca fiorentina
Domenica del Paradiso, dapprima perseguitata per le sue visioni, poi
beatificata. Si differenzia dalle altre, quest'ultima, per l'ambito ristretto
cui si riferiscono i suoi messaggi, che pur provenendo dal Cristo in visione
non investono l'umanità nel suo complesso ma il popolo di Firenze. La cosa è
storicamente rimarchevole poiché le predizioni di suor Domenica iniziano
intorno al 1517, protraendosi per l'intera prima metà del secolo, quindi negli
anni immediatamente successivi all'anatema lanciato dal concilio lateranense
contro i predicatori millenaristi. Non è perciò da escludere che la veggente
abbia voluto in tal modo, restringendo la portata delle sue profezie alla sola
Firenze, scongiurare il rischio di incorrere nel rigore delle sanzioni
ecclesiastiche.
C'è una sorta di dialogo appassionato e dolente tra la suora e
l'apparizione, che potrebbe essersi esteso, anche se non trapela dai resoconti
della monaca, a più ampi orizzonti. Gesù lamenta le offese ricevute dai
fiorentini, ribadendo a più riprese di volerli «castigare severamente». Suor
Domenica lo supplica di non farlo e di mandare tali castighi unicamente sul suo
corpo. È esaudita, ma non basta, poiché le «grandi scelleraggini» dei
fiorentini continuano a crescere, senza che traspaiano dalle loro azioni segni
di ravvedimento. L'apparizione torna dunque a diffondersi sulle calamità che
per questo si abbatteranno sulla città: «Tra pochi giorni vedranno che io
manderò un diluvio in Firenze che sarà allagata per venti palmi di altezza e
più ancora rovineranno i ponti, e i campi non daranno frutti [...] Manderò carestie,
altre inondazioni e pestilenze, e i fiorentini faranno testimonianza in avvenire
della mia ira e giustizia...».
Ancora una volta suor Domenica implora perché la città sia
risparmiata e la pena ricada su di lei. È ancora una volta esaudita. Il resto
si ripete con reiterata monotonia, in un alternarsi di misericordia e risentimento
divino. Il tutto viene trascritto fedelmente e custodito dall'ordine delle
monache della Crocetta, fondato da suor Domenica, fino al secolo XIX. Il
documento è scoperto nel 1846 e dato alle stampe, corredato dei riscontri
relativi alle calamità preannunciate, e in buona parte avvenute.7
Molte pene, annunciate in un primo momento per il presente,
erano state dilazionate nei secoli. «Perché tu veda che le tue orazioni mi sono
grate», si legge in uno dei messaggi del Cristo a suor Domenica, «e perché hai un
cuore amoroso per il tuo prossimo, non manderò più questi flagelli [...] Sappi
però che verrà il tempo che li castigherò per 28 anni, e nei finali sette dopo
il 1700 i fiorentini tuoi compatrioti resteranno senza principe [...] Li
castigherò poi nel 40 sopra il 1700 con una inondazione e molte carestie
[...] Nel vicino nono secolo [intende il XIX] si susciteranno tre varie corone
con le loro pretensioni grandi sopra la Toscana, diletta tua patria...».
Così, tra numeri e sciarade, la profezia si diffonde sulla
storia a venire di Firenze, offrendo agli esegeti riferimenti talvolta nitidi,
talaltra fumosi.
Ciò che interessa non è tanto il livello di conferma che se ne
ricava quanto la modernità della prosa divinatoria che, seppure riferita a una
comunità ristretta, ripropone il linguaggio degli ammonimenti rivolti
successivamente (e principalmente in questo nostro secolo XX) all'intero
genere umano.
«Se non si convertiranno e non lasceranno il male, guai guai a
tutti quando vedranno nel cielo una cometa vicino al polo artico...».
7 La profezia è stata poi ripresa in gran parte da Alberto Del
Fante nel suo saggio Le procellarie del futuro, Bologna 1936.
La «tribolazione» luciferina di
Margherita da Cortona
Si distinguono per l'autorevolezza delle fonti che le illustrano
le visioni profetiche di Margherita da Cortona, essendo state oggetto di
trattazione da parte dei padri bollandisti, cioè di quegli storici cattolici
che per primi posero - come si è detto - la necessità di ancorare l'agiografia
a un'adeguata documentazione. Sono questi rigidi propugnatori di una nuova
storiografia religiosa, infatti, a raccontare8 che in una delle
tante apparizioni a Margherita - preda di una crisi mistica nel corso della quale
versava copiose lacrime - il Cristo le avrebbe preannunciato «una grande
tribolazione nel mondo, provocata dal demonio Lucifero».
Continua il resoconto della visione mostrando che il demonio
«farà il giro del mondo e preparerà sollecitamente la via all'anticristo, come
un suo precursore, suscitando una tale confusione che molti preti usciranno dai
loro ordini e molte monache dai propri monasteri». Regneranno in quei giorni
omicidio e tradimento, e «una intera falange di demoni si scaglierà contro il genere
umano».
Margherita (1247-1297) era una bellissima creatura dal passato
turbinoso, che merita un cenno poiché può aiutare a comprendere l'improvviso
insorgere in lei di una sensibilità visionaria, dovuta forse al passaggio
traumatico dalla felicità profana alla vita mistica. I biografi la descrivono
come donna desiderosa di donarsi senza misura, la quale s'innamora sedicenne
del nobile Arsenio di Montepulciano, che poi sarà ucciso. È una fosca tragedia
medievale, di amore e di sangue. Morto l'amante cui si era data con tanta passione
- e dal quale aveva avuto un figlio - Margherita scopre che «nessun oggetto
terreno può contenere la piena del suo amore»9 e si ritira in
convento, dove si consumerà in un crescendo di penitenze, estasi e digiuni.
Si hanno altri riscontri, fuori della cerchia bollandista, delle
sue doti profetiche. I cronisti sono per lo più concordi nel riportare che «fu
favorita d'intendere dal Signore che le era conceduto un lume particolare
affinchè le parole colle quali prediceva le cose future riuscissero vere».10
La tradizione vuole che il Redentore in una delle sue
apparizioni l'avesse esortata a divulgare le sue profezie: «Non tralasciare di
avvisare gli uomini viziosi e provvedi per quanto ti sarà possibile a estirpare
i loro vizi e inserire nelle menti la virtù. Io infonderò mirabile grazia nelle
parole che saranno da te proferite [affinchè] possano preannunciare ciò che
infallibilmente dovrà accadere».
8 Nel III tomo degli Acta Sanctorum, che riportano le vite
dei santi ricostruite secondo i crite-ri storiografici enunciati dal gesuita
Jean Bolland.
9 Piero Bargellini, Mille santi del giorno, Firenze 1977.
10 Vita di Santa Margherita da Cartona, di don Francesco
Marchese, prete dell'Oratorio della Congregazione di Roma, stampata in Venezia
nel 1828.
Incontro della pellegrina Ildegonda
con Pietro, l'antipietro e l'anticristo
Sono gli olivi di Gerusalemme, sul far della sera, lo scenario
nel quale l'anticristo e i suoi accoliti si manifestarono in visione alla tedesca
Ildegonda, pellegrina in Terrasanta. La donna veniva avanti recitando salmi
insieme ad altri devoti lungo un viale, quando si vide comparire davanti tre
uomini, due dei quali avvolti in ampi mantelli rossi e il terzo adorno di
preziosi paramenti sacerdotali.
La leggenda dice che non passavano inosservati, oltre che per il
loro aspetto vistoso, perché lasciavano orme infuocate, dalle quali si levavano
vapori di fumo.
«Chi siete?», domandò Ildegonda, ed essi, avvicinatisi, la
fissarono con occhi tremendi, rivelando la loro identità.
«Io sono Pietro», disse quello che indossava paramenti sacri.
«Io sono l'antipietro», disse il secondo.
«Io sono l'anticristo», disse il terzo, che camminava in mezzo
ai due.
Significava che quando sarebbe venuto il tempo dell'anticristo
anche il papa si sarebbe schierato con lui, camminandogli accanto insieme
all'antipapa. L'antica profezia dell'Apocalisse acquistava in tal modo
una connotazione moderna, anticipando ciò che certi veggenti dei nostri giorni
avrebbero detto intorno all'infiltrazione di Satana in Vaticano."
Dichiarata la loro identità all'attonita Ildegonda, i tre
sinistri messaggeri disparvero, lasciando al suo costernato stupore questa
santa leggendaria, della quale non è nemmeno certo il sesso. Anche la sua storia,
come quella di Margherita, che però si fonda su dati ben più concreti, merita
di essere ricordata quale contributo alla comprensione dell'aura favolosa che
aleggiava intorno ai depositali del mistero divinatorio.
Tramanda l'agiografia che Ildegonda visse sotto generalità
maschili nel monastero cistercense di Schoenau, presso Heidelberg, facendosi
chiamare fra' Giuseppe. La madre, una gentildonna di Colonia, era morta nel
metterla alla luce, e poiché anche la neonata era stata sul punto di morire, il
padre aveva fatto voto di portarla in Terrasanta se fosse sopravvissuta. Così
fu, e la bambina, divenuta adolescente, venne condotta a Gerusalemme. Per
evitare i rischi del viaggio, le vennero tagliati i capelli e fu vestita di
abiti maschili, e chiamata Giuseppe dal genitore, che però morì a Tiro, sulla
via del ritorno. Rimasta dunque sola, la giovinetta continuò a fingersi
ragazzo, mendicando nelle strade. Fino a quando un mercante tedesco, mosso a
pietà, non la riportò in patria.
Continuò in Europa a fingersi uomo, ed ebbe molte pericolose
avventure. Venne anche impiccata, essendo stata scambiata per un ladro, ma un
angelo la sorresse per tre giorni, salvandole la vita. Ispirata da Dio, si
ritirò successivamente in convento, dove visse da frate tra i frati.
La morte sopravvenne nella Settimana santa del 1188, e si dice
che solo allora i confratelli scoprirono, lavandone il corpo, la natura femminile
di fra' Giuseppe.
Gli specchi mistici della monaca
Ildegarda
Niente affatto leggendaria, ben radicata nella storia, è invece
la mistica figura della monaca Ildegarda, nata nell'anno della prima crociata
(1098) e divenuta una predicatrice acclamata a Treviri, Magonza, Colonia e in
molte altre città della Germania, il cui genio si espresse non soltanto nella
poetica complessità delle sue profezie, ma nella musica sacra,
nell'erboristeria e nello studio della natura. Si ha la misura della sua fama
dal tono con cui l'abate di Brauweiler, una delle più celebri comunità monastiche
d'Europa, le scrive supplicandola di «indicare per lettera ciò che Dio avrà
potuto ispirarvi o rivelarvi a questo proposito [un esorcismo contro un demone
di eccezionale potenza] mediante una visione».
E la sua vita fu in effetti un inesauribile succedersi di
visioni, che ispirarono la scrittura dello Scivias (imperativo che suona
Conosci le vie [della fede]) e dei due libri Dei meriti divini e Delle
opere della vita, capolavori iniziatici destinati a provocare svariate dispute
teologiche, ricevendo infine l'approvazione papale con l'avallo di san
Bernardo. Il grande mistico di Chiaravalle ne aveva colto il significato
profondo, splendidamente reso attraverso una simbologia ridondante di preziose
immagini. Come queste che seguono:
Vidi una figura il cui volto e i piedi
rilucevano di un tale splendore che i miei occhi ne erano accecati. Sulla veste
di seta bianca recava un mantello verde magnificamente ornato di gemme. Alle
orecchie, pendevano gioielli, aveva anelli al braccio e monili di oro fino
tempestati di pietre...
Al di là dell'interpretazione, che indica in tanto fulgore la
saggezza proveniente dalla beatitudine divina, questo sovrannaturale ritratto
mostra una magnificenza visiva che si impone anche sotto il profilo letterario.
Così prosegue la visione:
Vidi una seconda figura [...] Aveva al
posto della testa uno splendore abbagliante, e al centro del ventre una testa
di uomo barbuto, grigio di capelli, e artigli di leone ai piedi. La
sorreggevano sei ali vorticanti: due partivano all'indietro e risalivano fino a
congiungersi al di sopra dello splendore, due ricadevano sulla nuca, due
scendevano giù per l'anca fino ai talloni. Si alzavano e si distendevano come
per prendere il volo. Il corpo di quell'essere non era coperto di piume ma di
squame, come un pesce. Le ali erano adorne di specchi...
Questi specchi recavano iscrizioni di significato esoterico
cristiano, come «via e verità» e «porta di tutti gli arcani di Dio». È la
stessa Ildegarda a inserire nel suo scritto chiavi d'interpretazione. Gli specchi
indicano «i cinque luminari delle differenti epoche: Abele, Noè, Abramo, Mosè,
poi il Figlio di Dio». Seguono spiegazioni complesse sulla figura coperta di
squame e altri dettagli di questo sfavillante affresco, che sembra voler
portare alle estreme conseguenze orrori e meraviglie della rivelazione
apocalittica.
Sulla fine dei tempi la veggente di Bingen fornì una indicazione
che, letta oggigiorno, evoca sinistre paure, collegabili sostanzialmente allo
scenario delineato da Malachia sul tramonto del papato. Lasciò infatti scritto
che l'anticristo sarebbe sopraggiunto a portare la
ribellione e la morte tra le genti «quando sul trono di Pietro
siederà un papa che avrà preso i nomi di due apostoli di Gesù».
Se così fosse dovrebbe aggirarsi tra noi dal 1978, anno del
breve pontificato di Giovanni Paolo I.
Lo sterminio dei "perfetti"
Oltre a spaziare nell'immaginario apocalittico, Ildegarda ancorò
buona parte delle sue profezie al proprio tempo. Rientra tra questi oracoli a
breve termine la premonizione sull'ascesa in Europa dell'eresia catara, che in
effetti raggiunse l'espansione massima negli anni immediatamente successivi
alla sua morte, avvenuta nel 1179.
Ai seguaci di questa dottrina di origine manichea, che predicava
un radicale dualismo tra il regno di Dio e quello del demonio, considerato
unico principe del mondo terreno, Ildegarda attribuisce «pensieri da scorpioni
e azioni da serpenti», annunciandone in questi termini la venuta:
Verrà un popolo sedotto dal diavolo e da
questi mandato sulla terra, con volto pallido e atteggiamenti di grande santità
[...] Vestirà di vili mantelli dai colori stinti, con austera tonsura e
apparenza di serena tranquillità [...] Non maneggerà denaro e praticherà una tale
astinenza che sarà difficile trovargli qualche difetto. Il diavolo sarà con
loro...
La veggente sconfessa in tal modo come ipocrita la conclamata
austerità dei catari, detti anche albigesi per la loro forte concentrazio-ne
nella città di Albi in Linguadoca. E in effetti essi erano noti per il loro
disprezzo verso la vita, della quale si liberavano lasciandosi spesso morire
per inedia. Si trattava a tutti gli effetti di un suicidio, che segnava il
coronamento di un rito rigeneratore, detto endura. Amministravano questa
religione di segno marcatamente mistico sacerdoti denominati perfetti per
il rigore della loro esistenza, che li rendeva emaciati e ieratici.
La profezia di Ildegarda ebbe immediato riscontro nella storia.
I catari acquistarono enorme potere nella Francia meridionale, esportando la
loro dottrina in molti altri stati d'Europa, per poi essere infine sterminati
nel corso di una feroce crociata bandita contro di loro da papa Innocenzo III
nel 1208, che si protrarrà in un crescendo di stragi fino al 1243, anno della
presa di Montségur, ultimo loro rifugio.
La veggente, che certamente contribuì con questa sua profezia a
eccitare gli animi contro i catari, al pari di tanti altri predicatori
cattolici, ne previde anche la fine. «I principi e altri personaggi di grande
statura si scateneranno contro di essi e li uccideranno come lupi rabbiosi», si
legge nella predizione da lei divulgata, «dovunque li trovino».
È ciò che avvenne.