Tratto da: Le Grandi Profezie  Autore Franco Cuomo

Newton & Compton Editori

 

La monaca di Dresda parte prima

Quando Napoleone fu in punto di morte nel suo esilio di Sant'Elena si disse che «il grande peccatore, allo spegnersi della sua stella, troverà pace e perdono tra le braccia di una santa». La Santa era probabilmente l'isola nella quale moriva. O almeno così parve quando la singolare predizione fu fatta circolare dall'abate austriaco Nicholas Holbne, forse interessato politicamente a ridimensionare la fama blasfema dell'imperatore, grande nemico della Chiesa, o semplicemente attratto dalla tentazione di farsi passare per veggente.

Ma sta di fatto che la profezia non era sua, bensì di una suora vissuta un secolo prima in un convento sull'Elba e lì morta giovanissima, nel 1706, all'età di ventisei anni. Di lei non si conoscevano generalità né origini, salvo il fatto ch'era nata a Dresda e che si trattava di «una ragazza di umile condizione, chiamata da una voce celeste a trascrivere messaggi divini per i potenti della terra». A quest'ordine aveva ottemperato con zelo, inviando circostanziate relazioni delle proprie visioni a papi e regnanti, sia in latino che in tedesco, pur essendo pressoché analfabeta.

Se ne dedusse che fosse lei la Santa tra le cui braccia moriva l'imperatore, redento dai suoi peccati, visto che lei ne aveva preannunciato la conversione.

Poco importa quale fosse in realtà il senso di questa profezia, e se per santa dovesse intendersi l'isola di Sant'Elena o la pia vergine che aveva previsto l'evento con oltre un secolo di anticipo. Importa che per la risonanza mondiale della morte di Napoleone, accresciuta dal gossip di una riconciliazione con la Chiesa, si creò intorno alle profezie dell'anonima monaca di Dresda un'aura di curiosità intrigante, che coinvolse non solo preti e occultisti, ma storici di aperte vedute, interessati a studiare il caso in un'ottica scientifica, come la cultura razionalista dell'epoca richiedeva.

Le ricerche portarono alla scoperta di una trentina di lettere, residuo di un epistolario ben più vasto, dalle quali fu possibile trarre stupefacenti considerazioni sul livello culturale dell'autrice, che se davvero incolta - al limite dell'analfabetismo, come le notizie raccolte in ambienti religiosi lasciavano supporre - doveva effettivamente averle scritte in uno stato di trance molto simile a quella condizione di estatica veggenza che i credenti chiamano ispirazione divina.

Il grande «turbamento» del Duemila

La cosa più sorprendente delle profezie attribuite alla monaca di Dresda è che corrispondono a uno schema del tutto analogo a quello elaborato sul finire del XII secolo da Gioacchino da Fiore, quell'abate «di spirito profetico dotato» che tanta impressione aveva suscitato in Dante Alighieri e in altri grandi spiriti medievali con la sua escatologia sistematica, perfettamente inquadrata in una evangelica filosofia della fine del mondo.1 Anche lei, che non aveva potuto probabilmente leggere né tanto meno comprendere il Commento all'Apocalisse e gli altri scritti profetici del cistercense Gioacchino, oltre tutto banditi dai teologi, divide l'arco della storia in tre tempi: «tre millenni dedicati all'Eterno». Anche lei pone ciascuno di questi periodi sotto l'influenza di una figura della Trinità. Anche lei fissa la data del giudizio finale allo scadere del terzo. Prevede che la fine del mondo debba compiersi nell'anno 3033, calcolando il tempo a partire dal sacrificio (la Redenzione) anziché dalla nascita del Cristo.

È passato il millennio del Padre. Quello che stiamo vivendo è il millennio del Figlio. Terzo e ultimo sarà il millennio dello Spirito Santo. Poi verrà il turbamento della terra...

La monaca dice «poi verrà», ma nella medesima lettera si legge che questo «turbamento» (della terra e delle genti: turbatio terrae et turbatio gentis) avrà inizio con svariati secoli di anticipo sulla fine dei tempi, e aumenterà in dolente sintonia con il degrado dell'umanità, fino a manifestarsi nella sua estrema potenza alla data prevista. Già dal 2413, dice la Voce che ispira la veggente, dovrà considerarsi «beato l'uomo che giace ormai sotto terra». Orrori spaventosi gli saranno risparmiati, poiché a partire da quell'anno «molte terre saranno sconvolte [...] e dove navigavano i vascelli cammineranno i carri, e dove andavano i carri si agiteranno i flutti del mare».

E questo «sarà solo l'inizio», sottolinea la Voce, «perché turbamenti successivi si avranno nel 2419, nel 2483, nel 2490, nel 2516, nel 2526...». Così di seguito, a intervalli regolari e brevi, fino al 2953, quando si avrà l'ultima scossa prima di quella finale.

Le tre piaghe

Gli scenari apocalittici della monaca di Dresda non si differenziano granché dai molti che si tramandano dall'età biblica: «Tutto tremerà, e la terra si agiterà come l'onda del mare, le querce secolari si piegheranno come giunchi al vento, i fiumi strariperanno per inondare le città. Enormi crepe si apriranno per inghiottire interi paesi, come l'uomo trangugia un boccone di pane...».

Hanno però la caratteristica di rapportare in maniera sistematica le più svariate sciagure al genere di purificazione - non solo in senso di espiazione, ma di prova - richiesta dalla particolarità del tempo in cui sopraggiungono, che nel suo (e nel nostro) caso è l'età del Figlio, bisognosa di «una pulizia generale, poiché l'uomo ha fatto scempio di ogni cosa». Tale pulizia «richiederà patimento e dolori per l'intera umanità, che alla fine del millennio sarà mondata da tre piaghe...».

Alla fine del millennio ci siamo. Vediamo quali sono le tre piaghe:

Ci sarà una epidemia mortale, che verrà come una pioggia, colpendo soprattutto i corrotti nella carne, i viziosi, i figli di Sodoma e Gomorra. Poi ci sarà il fuoco, ma nessuno vedrà le fiamme né il fumo, e tutto diventerà cenere, e in quella cenere ci sarà la morte. Ci saranno infine una grande siccità e una grande fame, e sulla terra si apriranno ferite profonde, e non germoglierà più il grano ma solo erbe avvelenate.

Sono piaghe che già l'umanità di questo nostro tempo conosce: l'epidemia ha tutte le caratteristiche che l'opinione comune associa all'AIDS, malattia "punitiva" per eccellenza; il fuoco che produce cenere mortale senza mostrarsi all'occhio umano, perché privo di fiamma e di fumo, è con ogni evidenza una energia inquinante, probabilmente nucleare; la fame è la fame, un male ormai endemico del pianeta, che affligge i quattro quinti della popolazione terrestre, strettamente connesso per sua natura con la siccità, soprattutto in Africa.

Alle tre piaghe, che non è difficile riconoscere tra i mali effettivamente rappresentati nella realtà contemporanea, si sovrapporranno entro la fine di questo millennio tre segni «lugubri come avvoltoi, il cui volo darà inizio al corteo funebre». Darà inizio, cioè, ai riti di passaggio dall'odierna età del Figlio a quella, incombente, dello Spirito Santo. Ed ecco quanto dovrebbe accadere:

«Cadranno sulla terra luci dal cielo, e l'ultimo Cesare cadrà nella polvere. Si rifrangeranno nel cielo bagliori di sangue, e tutto sarà fuoco, tutto sarà dolente come una ferita, perché le aquile stenteranno a morire. Il delirio invaderà la terra, e sarà questo l'ultimo segno...».

Tali segni, per chi saprà coglierne il senso, avranno la funzione salvifica di «una mano che vuole impedire la caduta nel baratro». Non ce ne saranno altri, perché «dopo non ci saranno più baratri».

Molti non capiranno l'avvertimento «perché la loro unica preoccupazione sarà quella di accumulare l'oro». Tale sarà la smania di ricchezza che, quando l'oro cambierà colore, gli uomini nemmeno se ne accorgeranno. Anzi, «quando l'oro diventerà del colore del sangue, essi diranno che ha il colore delle rose».

Quelli che invece riconosceranno i segni troveranno «la strada della Grande Vita, nella quale ciascuno riceverà ciò che ha sognato, non ciò che ha chiesto [...], un lungo sentiero fiancheggiato di prati in fiore e attraversato da freschi ruscelli nei quali uomini, animali e piante si abbeverano insieme. Tutto sarà pace, e l'uomo sorriderà nel suo cammino. Tutto sarà silenzio, e gli uccelli si poseranno su rami colmi di frutta».

Così saranno gli uomini che avranno superato le prove previste al giro di boa del Duemila, liberi dall'ansia di accumulare ricchezze e dalla smania di contendere agli altri inutili primati. Sulla strada della Grande Vita cammineranno soltanto in pochi, senz'affanno:

Nessuno di essi correrà, nessuno griderà.

Nessuno, soprattutto, sarà più oppresso dalla necessità di difendersi:

Nessuno porterà armi, perché non avrà più nemici.

I 6666 giorni del demonio

Non ci saranno solo dei segni da riconoscere e delle prove da superare per poter entrare a pieno titolo, da uomini liberi, nell'età dello Spirito Santo. Ci sarà da confrontarsi, avverte la monaca, con entità malefiche operanti al fine di realizzare un disegno intelligente di corruzione, condotto con ogni mezzo e a ogni livello della società. Il suo fine sarebbe l'instaurazione del regno di Satana in terra.

La veggente indica in questo nostro scorcio di millennio il periodo nel quale la presenza diabolica sarà maggiormente attiva sulla terra. Afferma in una delle sue lettere di avere individuato il progetto e di conoscerne gli artefici, che a quest'ora dovrebbero già essere tra noi, perfettamente inseriti in un tessuto sociale per buona parte rispondente alle loro aspettative.

Come agenti del demonio, hanno avuto facile gioco degli uomini, lascia intendere la profezia, che oltre a non saperli riconoscere avrebbero trovato allettanti le loro profferte, del tutto congeniali alla diffusa brama di ricchezze profane.

Il loro tempo sulla terra starebbe tuttavia per concludersi, e i loro piani sul punto di fallire, nonostante l'efficienza dell'organizzazione dalla quale dipendono e la perversa genialità di chi li guida. Sempre che i calcoli della monaca di Dresda siano esatti:

Dal 1940 al 2010 Lucifero insedierà sulla terra un suo duca [...] che parlerà la lingua di Attila e indosserà le vesti di Cesare. La corte di Satana sarà composta di sei lucifugi [dignitari infernali, così chiamati perché fuggono la luce] e dal duca Weighor, che dominerà da trionfatore la terra per 6666 giorni. Sarà il tempo della grande pestilenza, la foresta dell'iniquità. Ma poi tutta la corte verrà gettata nel fuoco, e gli ultimi demoni ridotti in cenere avvelenata...

La concezione gerarchica e organizzativa della corte infernale qui enunciata dalla monaca è degna di particolare nota, da un punto di vista culturale, poiché mostra una conoscenza dettagliata della "moderna" demonologia elaborata da scrittori quali Wier, Bouguet, Remy e lo stesso Giacomo I d'Inghilterra, nella quale veniva razionalizzato il pregiudizio conferendo ad antiche superstizioni un fondamento di scientificità contorta.2

A uso dell'inquisizione, ed evidentemente di chiunque pretendesse di avere titolo per interferire in materia di perdizione o salvezza del genere umano, l'intera cosmogonia infernale era stata censita e riordinata negli ultimi due secoli - dal decadere del Rinascimento a tutto il Seicento - in una sorta di controsocietà complessa e aristocratica, operante in antinomia con quella terrena per provocarne la rovina. Quest'aristocrazia malvagia aveva i suoi leader, per lo più demoni ereditati dalla paganità, come Asmodeo e Astaroth, empie divinità mediorientali che esigevano sacrifici umani, o questo Weighor di origine probabilmente nordica; ogni leader aveva i suoi gregari, burocraticamente investiti di autorità su legioni e compagnie di diavoli numericamente commisurate al loro grado. Il gesuita Jean Wier ne aveva censiti più di sette milioni (7.405.926, per l'esattezza) divisi in 1111 legioni di 6666 demoni l'una al comando di settantadue principi. Bouguet aveva avvertito che gli infiltrati della corte infernale sulla terra si moltiplicavano «come bruchi nei nostri giardini». Michaelis aveva invocato per chi se la intendesse con questi agenti di Satana «una morte non comune, tale da servire a tutti di esempio». Gli aveva dato manforte Remy spiegando che il supplizio, quanto più tremendo possibile, era nello stesso interesse degli stregoni, trattandosi dell'unica possibilità che avevano di essere redenti dal dominio del diavolo. Aveva infine dato lustro regale a questa disputa di respiro europeo Giacomo I d'Inghilterra, già re di Scozia dal 1567 come Giacomo VI, che ossessionato dall'idea di poter restare vittima di un «complotto di magia» aveva indotto il parlamento a votare uno statuto contro gli incantesimi. Si era poi misurato con le tecniche della caccia alle streghe, scrivendo un trattato nel quale spiegava come riconoscerle. E ancora sul finire del Seicento sofisticati intellettuali di svariati paesi si diffondevano in accorate lamentazioni sul pericolo sociale rappresentato dalla stregoneria.

Si può ben capire in che misura tale "dibattito" potesse avere coinvolto predicatori e profeti, orientati da sempre a sondare le più inconoscibili vie dei futuri destini dell'uomo. La monaca di Dresda in questa sua profezia ne da una dimostrazione convincente.

Lo stesso ricorso al 6666 per indicare i giorni del trionfo infernale sulla terra (diciotto anni e otto mesi) non è una disinvolta chiamata in causa del 666 apocalittico, ma una probabile informazione sul numero dei demoni al comando del duca e dei suoi lucifugi, che la pia donna ritiene corrispondere all'organico elaborato dal Wier. E visto che i lucifugi sono sei, ciascuno viene a disporre di 1111 unità malefiche, cioè l'equivalente, a livello individuale, del numero complessivo delle legioni.

Non dimostra nulla, ma la ricorrenza di numeri e di circostanze apparentemente fortuite nella divinazione non è mai considerata casuale, bensì probatoria di qualcosa che, sfuggendo alla ragione comune, ha una ragione speciale di essere.

2 Facevano parte di questa letteratura opere come il De praestigiis di Jean Wier (Basilea 1568), il Discorso dei maghi di Henri Boguet (Lione 1603), la Pneumatologia di Sébastien Michaelis (Parigi 1592), la Demonolatria di Nicholas Remy (Londra 1596), la Demonialité di Jean Bodin (Parigi 1582), le Meraviglie del mondo invisibile di James e Cotton Mahler (1693) e la Demonologia di re Giacomo I d'Inghilterra.