Tratto da: L'esoterismo di Dante
Renè Guènon Adelphi Edizioni
Traduzione: Pia Cillario
II
La «Fede Santa»
II Museo di Vienna custodisce due medaglie: una raffigura Dante,
l'altra il pittore Pietro da Pisa; sul rovescio di entrambe sono incise le
lettere F.S.K.I.P.F.T., che Aroux interpreta nel modo
seguente: Frater Sacra Kadosch, Imperìalis Principatus, Frater Templarius. Per
le prime tre lettere questa interpretazione è
palesemente sbagliata e non offre un significato intelligibile; il nostro
parere è che si debba leggere Fidei Sanctce Kadosch.
La società della Fede
Santa, della quale Dante fu probabilmente uno dei vertici, era un Ordine
Terziario di affiliazione templare, e questo
giustifica l'appellativo di Frater Templarìus; e i suoi dignitari portavano il
titolo di Kadosch, parola ebraica che significa « santo » o «consacrato», e che
si è conservata fino ai giorni nostri negli alti gradi della Massoneria. Non è
dunque senza motivo - lo vediamo già da questo - che Dante prende, come guida
per la fine del suo viaggio celeste,1
1 Paradiso, XXXI. La parola contemplante, con la quale Dante designa in seguito san Bernardo (Paradiso,
XXXII, 1), potrebbe contenere un doppio senso, a causa della sua relazione con
la stessa designazione del Tempio.
San Bernardo, che aveva
stabilito la regola dell'Ordine dei Templari; con questa scelta egli sembra
aver voluto indicare che solo attraverso di lui era possibile, nelle condizioni
proprie alla sua epoca, accedere al grado supremo della gerarchla spirituale. Quanto all'Imperialis Principatus, per
spiegarlo forse non ci si deve limitare a considerare il ruolo politico di
Dante, il quale dimostra che le organizzazioni cui egli apparteneva erano
allora favorevoli al potere imperiale; bisogna anche osservare che il « Sacro
Impero » ha un significato simbolico e che ancora oggi, nella Massoneria
scozzese, i membri dei Consigli Supremi sono qualificati come dignitari del
Sacro Impero, mentre il titolo di « Principe » compare nelle designazioni di
numerosi gradi. E ancora, i capi di svariate organizzazioni di origine rosacrociana, a partire dal XVI secolo, hanno
portato il titolo di Imperatori vi è motivo di pensare che
Ma quali sono esattamente
queste scienze che occorre intendere con la designazione simbolica di «cieli»? Dobbiamo forse scorgere in essi un'allusione alle « sette arti liberali » delle quali
Dante, come tutti i suoi contemporanei, fa sovente menzione?
A sostegno di questa ipotesi troviamo, seguendo Aroux, che « i Catari
avevano stabilito, dal XII secolo, dei segnali di riconoscimento, delle parole
d'ordine, una dottrina astrologica: le loro iniziazioni si tenevano durante
l'equinozio di primavera; il loro sistema scientifico era fondato sulla
dottrina delle corrispondenze: alla Luna corrispondeva la Grammatica, a
Mercurio la Dialettica, a Venere la Retorica, a Marte la Musica, a Giove la
Geometria, a Saturno l'Astronomia, al Sole l'Aritmetica o la Ragione
illuminata». Così, alle sette sfere planetarie, che costituiscono i primi sette
dei nove cieli di Dante, corrispondevano rispettivamente le sette arti
liberali, quelle stesse il cui nome figura sui sette
gradini della parte sinistra della Scala dei Kadosch (trentesimo grado della
Massoneria scozzese).
L'ordine ascendente, in quest'ultimo caso, ha
come unica differenza, rispetto al precedente, il fatto di invertire, da un
lato, la Retorica e la Logica (che qui sostituisce la Dialettica) e, d'altro
lato, la Geometria e la Musica; inoltre, la scienza che corrisponde al Sole,
l'Aritmetica, occupa il rango che spetta di norma a questo astro
nell'ordine astrologico dei pianeti, vale a dire il quarto, centro del
settenario, mentre i Catari la ponevano al gradino più alto della loro Scala
Mistica, cosa che Dante fa per l'elemento corrispondente della parte destra, la
Fede (Emounah), ossia
1. Riguardo
alla Scala misteriosa dei Kadosch, della quale si tornerà a parlare più avanti,
si veda il Manuel maconnique del F.\ Vuilliaume, tav.
XVI e pp. 213-14. Citiamo quest'opera nella T ediz. (Paris,
1830).
A tale riguardo, però, un ulteriore interrogativo s'impone: com'è possibile che delle
corrispondenze di tal sorta, che indicano veri e propri gradi iniziatici, siano
state attribuite alle arti liberali, che venivano insegnate pubblicamente e
ufficialmente in tutte le scuole? Noi pensiamo che dovessero
esistere due modi di considerarle, uno essoterico e l'altro esoterico: a ogni
scienza profana può sovrapporsi una seconda scienza che in apparenza si
riferisce allo stesso oggetto ma in realtà lo prende in considerazione da un
punto di vista più profondo, e che è rispetto alla scienza profana ciò che i
significati superiori delle scritture sono rispetto al loro significato
letterale. Si potrebbe anche dire che le scienze
esteriori offrono un modo di esprimere le verità superiori, poiché esse stesse
sono soltanto simbolo di qualcosa che appartiene a un altro ordine, poiché,
come disse Piatone, il sensibile non è altro che un riflesso
dell'intelligibile; i fenomeni naturali e gli eventi storici hanno tutti un
valore simbolico, in quanto esprimono in certa misura i princìpi da cui
dipendono, dei quali sono conseguenze più o meno remote.
Dunque, ogni arte e ogni
scienza può, mediante un'opportuna trasposizione,
assumere un valore esoterico autentico; perché negare che talune espressioni
tratte dalle arti liberali ricoprissero, nelle iniziazioni medioevali, un ruolo
paragonabile a quello che il linguaggio mutuato dall'arte dei muratori ha nella
Massoneria speculativa? Diremo di più: considerare le cose sotto questo profilo
significa tutto sommato ricondurle al loro principio; questo punto di vista è
dunque legato alla loro stessa essenza, nient'affatto sovrapposto in modo
arbitrario; ma se le cose stanno così, la tradizione che si riferisce ad esse non potrebbe risalire all'origine stessa delle scienze
e delle arti, e il punto di vista esclusivamente profano essere una prospettiva
del tutto moderna, risultante dall'oblio generale di questa tradizione?
Non possiamo affrontare qui
tale questione con tutti gli sviluppi che comporterebbe; ma vediamo in che
termini Dante stesso, nel commento che dedica alla sua prima Canzone, indica il
modo in cui applica alla sua opera le regole di alcune
arti liberali: « O uomini, che vedere non potete la sentenza di questa canzone,
non la rifiutate però; ma ponete mente la sua bellezza, che è grande sì per construzione,
la quale si pertiene alli gramatici, sì per l'ordine del sermone, che si
pertiene alli rettorici, sì per lo numero delle sue parti, che si pertiene alli
musici». In questa maniera di considerare la musica in
relazione al numero, dunque come scienza del ritmo in tutte le sue
corrispondenze, non si può riconoscere un'eco della tradizione pitagorica? E
non è forse questa stessa tradizione a consentire di comprendere il ruolo
«solare» attribuito all'aritmetica, della quale essa fa il centro comune di
tutte le altre scienze, come pure i rapporti che uniscono queste fra di loro, e in particolare la musica alla geometria,
attraverso la conoscenza delle proporzioni nelle forme (che trova
nell'architettura la sua applicazione diretta), e all'astronomia, attraverso la
conoscenza dell'armonia delle sfere celesti? Avremo diverse occasioni di
vedere, in seguito, l'importanza fondamentale del simbolismo dei numeri
nell'opera di Dante; e se questo simbolismo non è d'impronta esclusivamente
pitagorica, se lo si ritrova in altre dottrine per la
semplice ragione che la verità è una sola, possiamo nondimeno considerare che,
senza dubbio alcuno, da Pitagora a Virgilio e da Virgilio a Dante la « catena
della tradizione » in terra italiana non fu mai interrotta.