Tratto da: Le Grandi Profezie  Autore Franco Cuomo

Newton & Compton Editori

 

Fatima, il "terzo segreto"  Parte Terza

 

Il lupo grigio e il crociato blu

 

Sul mistero di Fatima si sono innestate fantasie spesso contorte, ani­mate da elucubrazioni a sfondo millenarista che giustificano i più lam­biccati teoremi. Non potevano mancare, per l’attentato subito dal papa il13 maggio 1981, anniversario della prima apparizione di Fatima,


illazioni tendenti a ricercare moventi connessi al fondamentalismo isla­mico. Ha complicato lo scenario un secondo attentato nel medesimo anniversario, il 13 maggio 1982, e proprio a Fatima, per mano di un prete spagnolo che risultò essere stato ordinato sacerdote dal vescovo scismatico Lefebvre.

E facile cedere alla tentazione di collegare i due attentati tra loro, quale segno della coincidenza tra integralismi contrapposti ma con­vergenti nei loro obiettivi estremi: quello islamico, rappresentato dal “lupo grigio” turco Ali Agca, e quello cattolico, impersonato dal prete Juan Fernàndez Khron, legato al movimento tradizionalista dell'”ar­mata blu di Fatima”. Ma dai comportamenti e dalle farneticazioni di entrambi si ha più l’impressione che, al di là di certe superficiali coin­cidenze, i due attentatori non siano in grado di rappresentare altri che se stessi.

Entrambi pongono la verità occulta di Fatima al centro dei propri di­segni, facendosi portavoce di un’astratta esigenza di conoscere il “ter­zo segreto”. Khron, dopo essere stato arrestato, divulga una sorta di proclama nel quale sollecita al Vaticano — e a suor Lucia — l’immedia­ta rivelazione della profezia. Ali Agca, dal suo canto, sostiene in un suo recente memoriale che «Dio aveva ordinato mediante la Madonna che quel messaggio dovesse essere assolutamente annunciato nell’an­no 1960», deprecando che si possa giungere a «tacere, bloccare il mes­saggio dell’Eterno, onnipotente, creatore, dominatore dell’universo».3 A questo punto la confusione è grande. Ali Agca contesta i segni an­che esteriori del cattolicesimo, come la Cappella Sistina che secondo lui «ridicolizza l’idea del Giudizio Universale» in una chiave idolatri­ca, e preconizza l’avvento del Madhi, il nuovo Messia islamico che «verrà per la fine del mondo» a instaurare l’impero di Allah, però si fa garante della volontà del Dio cristiano, che impartisce ordini per voce della Madonna.

Ma tutto questo non può stupire più di tanto, se si considerano le co­se da lui dette in aula di giustizia, il 28 maggio 1985, quando di fronte al tribunale che lo giudicava dichiarò con la massima naturalezza:

«L’attentato al papa è collegato al terzo segreto di Fatima. In nome di Dio onnipotente, io annuncio la fine del mondo. Io sono Gesù Cristo, il Verbo incarnato e reincarnato... Tutti potrete dire che sono un pazzo, ma riflettete: il papa è venuto fino alla mia cella, e ha definito il nostro incontro meraviglioso, eccezionale, voluto da Dio...».

Ed ecco Giovanni Paolo II divenire per Ali Agca, dopo essere stato da lui definito «comandante delle crociate [contro l’Islam] camuffato da capo religioso», interlocutore privilegiato per un dialogo che, comun­que si sia svolto, è ruotato intorno all’idea cristiana di perdono.


Non semplifica né spiega tali contraddizioni l’intreccio — più decora­tivo che sostanziale — di coincidenze, presagi e sorprendenti casualità connesse al disegno omicida contro il papa nell’ottica di Fatima.

Perfino il nome del luogo natale di Ali Agca, per come suona in ita­liano, evoca desolanti prospettive di sofferenza: Malatia. Da lì giunge, come un virus omicida, il “lupo grigio”. E trascinato da oscure forze, che alimentano in lui la presunzione di essere il Madhi o Gesù o più modestamente «un angelo in forma umana», come grida ai giornalisti nell’udire la sentenza di ergastolo, il 29 marzo 1986. Vede dovunque segni e presagi. E per lui un segno che la sorellina si chiami Fatima e sia nata nel 1960, anno della mancata rivelazione. E un segno che la prima persona a bloccarlo in piazza San Pietro, dopo avere sparato al papa, sia una suora di nome Lucia come la veggente che serba il se­greto in un monastero portoghese. E un segno che la notte prima dell’attentato abbia dormito all’Hotel Isa, visto che Isa in arabo significa Gesù. «Che fatto singolare», si compiace di scrivere, «partire dall’Ho­tel Gesù per andare a sparare il capo della religione di Gesù».

Ma al di là del vuoto che c’è dietro queste sfumature, di per sé insi­gnificanti, se si vogliono leggere gli attentati al papa in relazione a Fa­tima si devono collocare nel contesto profetico di Fatima. Che il papa dovesse avere molto da soffrire era stato detto a chiare lettere dalla Si­gnora nella parte già nota del suo messaggio, laddove preannunciava anche la consacrazione della Russia.

Stando dunque al senso letterale delle predizioni trascritte da suor Lucia la sofferenza del papa doveva — o quanto meno poteva — colle­garsi alla fine del comunismo in termini di causa-effetto.

Agca e Khron sono perciò stati, in quest’ottica, strumenti della pro­fezia. Se poi si pongono in relazione le vicende del pontificato di Gio­vanni Paolo II con il declino e il disfacimento dell’impero sovietico, al­lora lo sono stati nella maniera più ampia, incidendo su di un processo storico di dimensioni epocali.

Il “lupo grigio” lo ha perfettamente compreso, ed è questa, nonostan­te i toni esaltati in cui l’esprime, l’unica sua vera grande intuizione:

«Ecco l’attentato al papa, una delle cause che determineranno il crollo dell’impero sovietico e del comunismo internazionale... Sarò io a pro­vocare, con l’attentato al papa, l’incendio della foresta stalinista, che sarà bruciata e distrutta in pochi anni».

Attribuisce la sua azione a sollecitazioni indecifrabili, difficilmente riconducibili a parametri umani. Non è stato lui a decidere: hanno de­ciso per me, dice, i «misteriosi». Alla loro spinta deve l’assunzione del ruolo storico che, in funzione del mistero di Fatima, si è assunto.

In qualche modo papa Wojtyla glielo ha riconosciuto, facendogli dono di una medaglia commemorativa delle apparizioni e dell'attentato:


da una parte ci sono i tre bambini ai piedi della Vergine, e la data 14 maggio 1917; dall’altra l’effigie del pontefice, e la data 13 maggio 1981.

Alla Signora il pontefice ha offerto come pegno d’amore e di ringra­ziamento, nel decimo anniversario dell’attentato, il proiettile che l’a­veva trafitto. A Fatima si trova ora quel frammento di piombo che avrebbe dovuto ucciderlo, incastonato come una gemma tra le pietre del mistico diadema di Maria.

 

 

Milingo accusa: c’è Satana in curia

 

È inquietante che alle accuse di Agca e di Khron contro le gerarchie vaticane per il silenzio sul “terzo segreto” si siano recentemente ag­giunte quelle del cardinale africano Emanuel Milingo, che per il suo ascendente carismatico esercita un’influenza certa su larghi strati di fedeli.

Per Milingo la Curia romana sarebbe inquinata da forze sataniche, le quali porrebbero ostacoli alla divulgazione della profezia. Più esplici­tamente, ci sarebbero tra gli alti prelati dei seguaci del demonio, atti­vamente impegnati a impedire che il messaggio della Vergine possa giungere a destinazione, cioè a conoscenza dell’umanità.

Oltre a essere famoso per le sue messe di guarigione, nel corso delle quali sono stati registrati fenomeni ritenuti prodigiosi da migliaia di devoti, Milingo ricopre incarichi di alta responsabilità religiosa e an­che sociale, in quanto addetto alla segreteria vaticana per l’emigrazio­ne. E arcivescovo di Lusaka, e amatissimo da quei cattolici che si ri­conoscono in una religiosità spettacolare, in grado di produrre effetti visibili, analoghi a quelli procurati dai miracoli descritti nei Vangeli. Tutto questo conferisce alle sue affermazioni uno spessore particolar­mente drammatico, poiché provengono da una voce credibile in seno alla cristianità, ben lontana dalla follia criminale di Agca e Khron.

Milingo è inoltre celebre per i suoi esorcismi, e questo gli conferisce una particolare “competenza”, se così si può dire, in materia demonia­ca. Da un lato, ciò che dice parrebbe collimare con i profetici avverti­menti della Signora, nei quali vi sono chiari riferimenti all’intromis­sione di Satana in seno alle alte gerarchie ecclesiastiche, che per que­sto saranno divise da insanabili contrasti. Dall’altro, però, si deve te­nere conto che in tali profezie il papa è tenuto fuori da ogni sospetto, e indicato come una vittima, mai come compartecipe, dell’iniquità ge­nerale.

Perciò, non essendoci dubbi sul fatto che il “terzo segreto” sia custo­dito in una cassaforte cui solo il papa e suoi stretti fiduciari possono accedere, ogni riferimento all’influenza di poteri


satanici sulla decisione di renderlo pubblico (decisione che spetta esclusivamente al pontefice) appare del tutto priva di fondamento. Non appare priva di fondamento, al contrario, ma coerente con la profezia, l’affermazione che altri esponenti delle gerarchie vaticane possano essere legati a tali poteri. Il che è spaventoso comunque, ma non ha niente a che fare con la mancata divulgazione della profezia.

Intorbida l’effetto dirompente dell’accusa lanciata da Milingo (il 23 novembre 1996, nel corso di un congresso internazionale sul tema «Fatima 2000: la pace mondiale e il Cuore Immacolato di Maria») il fatto che sia sceso in campo ad avallarla dagli Stati Uniti monsignor Martin Malachi, già segretario del cardinale Augustin Bea. Quest’ulti­mo fu infatti al fianco di Giovanni XXIII al momento in cui aprì la bu­sta contenente il testo della profezia appena giunto dal Portogallo, nel 1957. Fu il primo, dunque, a prenderne visione insieme al papa e a condividere la decisione di tacere.

Non è un dettaglio da poco che l’adesione di Malachi al punto di vi­sta di Milingo sia stata espressa attraverso la rivista «Fatima Crusa­der» (Crociato di Fatima), legata a frange estreme dell’integralismo cattolico, particolarmente attive nelle due Americhe. Ne scaturisce un teorema, indimostrabile nella sua complessità, ma sovraccarico di in­dizi che riconducono all’ attentato di Khron, alla citata «armata blu di Fatima» e, in senso più generale, al fondamentalismo lefevriano.        (Fine)