Renè Laurentin
DIO ESISTE ECCO LE PROVE
Le scienze erano contro. Ora conducono a LUI.
PIEMME POCKET
Prefazione
di Vittorio Messori
A René Laurentin ogni cattolico deve
gratitudine. E per molte cose. Innanzitutto, gliene deve per i suoi decenni di
fatica, di ricerche da detective degli archivi, di viaggi nell’Europa
intera per costruire un autentico monumento, davvero aere perennius, alla
verità di Lourdes.
I sette volumi di Documents authentiques
(alcuni dei quali in collaborazione con il benedettino, anch’egli benemerito,
dom Bernard Billet), i sei della Histoire authentique, i molti altri
tra i quali i due dedicati ai Visages de Bernadette, sono un modello di
storiografia “scientifica” e, al contempo, un autentico dono per tutta la
Chiesa.
«Lourdes non ha bisogno che di verità», gli
disse mons. Théas, il grande vescovo di Tarbes, affidandogli il compito di
ricostruire quegli eventi prodigiosi in vista del centenario del 1958. Gli
ripeté quell’esortazione ad andare avanti anche quando sorsero difficoltà che
l’approfondimento ulteriore dissolse pienamente ma che avrebbero allarmato
altri. E verità fu davvero fatta — persino molto al di là delle previsioni —
dall’allora ancor giovane studioso. Oggi, grazie all’abbé, al professor
Laurentin, siamo in grado di ricostruire in modo sicuro e ora per ora — in
senso letterale — ciò che avvenne durante e dopo le 18 apparizioni.
Così come, grazie a un suo altro lavoro di
straordinario impegno e di straordinario frutto spirituale per i lettori, i
tre volumi di “loghia” ci tramandano tutte le parole di cui resta
testimonianza dette da suor Marie Bernard, Religiosa della Carità di Nevers,
al secolo Bernadette Soubirous.
La verità su Lourdes aveva bisogno anche di
questo scavo nella testimonianza, di cristallina trasparenza evangelica, della
piccola santa, sulle cui spallucce deboli e malate — e al contempo
misteriosamente saldissime —grava tutto il peso del maggior pellegrinaggio del
mondo. Tre milioni l’anno alla Mecca, cinque a Lourdes...
Ma, a questi motivi di gratitudine, già
così importanti, molti altri se ne sono aggiunti, e in questa stessa direzione
di ricerca: le apparizioni di Pontmain nel 1871 e quelle della «Medaglia
miracolosa», in rue du Bac, che, nel 1830, aprono la serie delle
grandi apparizioni mariane dell’Ottocento e del Novecento. «E la stessa!» disse
la veggente parigina quando le descrissero la “Signora” vista nella grotta dei
Pirenei.
«Non io ho cercato Maria e le sue
apparizioni: sono loro che sono venute a cercare me», mi disseuna volta l’abbé
che — mi sia concesso dirlo — non è per me solo uno studioso assai
apprezzato ma è anche un amico assai caro. Le “apparizioni” si sa, sono venute
a “cercare” questo esperto, già in età matura, anche quando cominciarono i
fatti di Medjugorje. Quale che sia il giudizio che ciascuno si è fatto di
quegli eventi (in attesa di un pronunciamento della Chiesa, che troppo tarda)
non si può non riconoscere il coraggio con cui don Laurentin ha messo in gioco
il prestigio e l’autorità accumulata in una vita di lavoro per difendere una
realtà di cui il suo cuore di prete vedeva anche i frutti pastorali.
In effetti, questo
professore con cattedre in Europa e in America, questo autore di quasi 150 libri,
non dimentica di essere innanzitutto un sacerdote. E a tal punto che non ha
mai voluto abbandonare (malgrado i mille impegni che lo gettano ancora, alle
soglie degli ottant’anni, sulle strade del mondo) il suo servizio di aumonier,
di cappellano presso un monastero di contemplative sui bordi della Senna,
a sud di Parigi. Assistendo alla sua messa, li, ad Evry, al convento de La
Solitude, si comprende quale sia il suo zelo sacerdotale.
Così, l’intera sua produzione editoriale,
in apparenza straordinariamente varia, gira tutta attorno a un interesse
primario. Che è, poi, un interesse direttamente pastorale: aiutare la fede
della gente, messa in pericolo oggi forse più ancora da certe ambiguità o
errori di intellettuali clericali che da “attacchi” esterni. Ciò che il nostro
don René ha fatto — con un lavoro straordinariamente fecondo e al quale ha
arriso e arride un successo meritato tra i lettori di tutto il mondo — non è
che un’azione di scavo alle fondamenta, tutt’attorno alla pianta, per
ritrovare la saldezza delle radici della fede.
E direttamente in
questa linea di preziosa e moderna “apologetica” pure il libro qui tradotto.
Ancora una volta, il docente universitario, l’esperto internazionale, si è
fatto divulgatore (è giustamente fiero delle sue migliaia di articoli in
giornali ad alta tiratura!) e propone a noi, “gente comune”, qualche ragione
per credere o per rinsaldare la nostra credenza. Le pagine che qui seguono non
vogliono essere un trattato, ma una sorta di vivace, aggiornato, serio pamphlet
(e non uso il termine in senso limitativo ma per indicarne la capacità di
presa immediata sul lettore). Una serie di flash, di “provocazioni” che,
dandoci conto di almeno alcune delle risultanze delle scienze moderne — e non
solo fisiche, ma pure umane — ci ricordano una notizia. Una notizia che lo
stesso autore ci riassume così: «Da secoli la scienza sembrava nemica della
fede in Dio. Essa sperava di accedere, prima o poi, a un sapere assoluto che
risolvesse tutti i problemi umani: la malattia, la morte, la guerra. Il Dio del
passato era morto e l’uomo era il Dio dell’avvenire. Oggi, lo scientismo si è
estinto e la scienza sfocia su misteri sempre più impenetrabili. I suoi stessi
progressi le hanno insegnato la modestia. Così, la scienza attuale è divenuta
una finestra aperta su Dio». E proprio questa, dice Laurentin, «est la bonne
nouvelle»: una buona notizia che ridà fiducia anche a coloro che temevano
che per la Buona Notizia per eccellenza non ci fosse più spazio. Sembrava
così, forse, fino a quando è durata la modernità. Non più — anzi, al contrario
— ora che stiamo entrando in quella terra incognita (chiamata “post-moderno”
per mancanza di un termine migliore) e nella quale, comunque, non è più vietato
intravvedere le impronte digitali di Dio, le sue tracce, dietro la gran
macchina dell’universo e dietro le profondità che scopriamo in noi stessi.
Come già nei suoi
precedenti, innumerevoli libri, anche con queste pagine svelte, nervose, che
talvolta sembrano provocare e accennare più che analizzare, Laurentin ha
voluto venirci incontro, donarci un altro dei suoi antidoti ai veleni insinuati
da certi attuali professionisti del dubbio. Dunque, anche per questo piccolo —
e prezioso — Dieu existe: en voici les preuves gli giunga quella
gratitudine che già gli dovevamo per tante prove di quella «carità della
verità» da lui praticata nella sua lunga giornata di operaio del vangelo.
Anche grazie a questo suo sforzo
divulgativo, ma tutt’altro che superficiale, ora sappiamo perché è fallito il
tentativo ateistico dello scientismo e perché davanti a noi si riapre, intatto,
il Mistero.
DIO E' MORTO? Parte prima
Dalla morte del re alla morte di Dio
La nostra civiltà moderna è nata da un
omicidio? Sì. I suoi profeti hanno annunciato il regno dell’uomo attraverso la
morte di Dio.
Quella del re di Francia, avvenuta nel 1793,
ne fu un simbolo. Il primo. Più tardi, Freud ha celebrato «la morte del padre»:
altra immagine metaforica di un omicidio più profondo, che ha attraversato la
nostra civiltà.
Questo omicidio, Johann Paul Richter
(1763-1825), romantico tedesco, lo evoca simbolicamente in termini resi
popolari da Madame de Stael.
Il poeta si trova da qualche minuto in un
cimitero. Le tombe si aprono, sorgono le ombre dei morti. Esse interpellano
Cristo e lui risponde: «Dio non c’è... Siamo tutti orfani. Io e voi non
abbiamo più un Padre».
Sì. La morte del padre e la morte di Dio vanno
di pari passo, poiché Dio è Padre, nel senso più radicale del termine: colui
che dona l’esistenza, in ogni istante, per amore. «Da lui ogni paternità nei
cieli e sulla terra prende nome», dice l’apostolo Paolo (Efesini 3, 15).
I romantici hanno spesso evocato la morte di
Dio, come Gérard de Nerval ed Heinrich Heine:
«Nulla ha potuto
salvarlo. Non sentite la campanella?»
«In ginocchio! Si
stanno portando i sacramenti a un Dio che sta morendo».
Si trattava solo della dimensione onirica. Gli
scienziati e riformatori sociali del XIX secolo hanno portato a termine l’omicidio
in modo più radicale: Dio è un fantasma soggettivo, e questo fantasma schiaccia
l’uomo, hanno ripetuto in svariati modi.
Dio reprime la scienza. Blocca la rivolta dei
poveri, lega l’uomo con la morale e la paura. La morte di Dio sarà la liberazione
assoluta. Il trionfo della scienza dissiperà l’illusione e porterà con sé tutto
ciò che gli uomini attendono da Dio: il progresso, la giustizia, la pace, la
fraternità, lasciandosi alle spalle le crociate e l’inquisizione.
«Dio è un mito», viene precisato per meglio
liberarsene: è un prodotto malato della nostra psiche. L’uomo si è creato
questo padrone, questo idolo, se ne è reso lo schiavo masochista. Uccidiamo
questo fantasma e non ci saranno più né divieti né punizioni. Senza Dio né padrone,
l’uomo si appresta a rinascere!
L’uomo? Ben di più: il superuomo! rilanciava
Nietzsche. Dio non è più dietro, ma dinnanzi a noi: nell’avvenire. l’uomo,
liberato dal peso di Dio, sarà il dio dell’avvenire.
Sì. In ciò è consistito il sogno folle di
Hitler, la gloria effimera della sua follia omicida.
Dov’è dunque il mito? E forse Dio? No di
certo, come vedremo. Mito, piuttosto, è quello della morte di Dio. Da Richter
a Nietzsche, i testi che l’annunciano sono mitologici, nella loro stessa
essenza. Questi falsi profeti hanno liberato l’uomo da costrizioni apparenti che altro non erano se non la
legge intima della sua felicità.
Dio non viene ucciso, egli vive oltre gli
psicodrammi omicidi. L’uomo non può ucciderlo che nel suo cuore e nelle sue
istituzioni.
Dio resta il Creatore, la radice che nutre
l’uomo. Se tagliamo questa radice nella nostra psiche umana, distruggiamo noi
stessi.
La morte dell’uomo
Non c’è voluto molto ad accorgersene.
L’annuncio della morte di Dio è stato immediatamente seguito dall’annuncio
della morte dell’uomo. Già un romanzo di Martin du Gard lo fa presente. Uno dei
personaggi del suo romanzo L’été 1914 afferma:
«Nietzsche
ha eliminato la nozione di Dio. Al suo posto ha messo quella dell’uomo. Non è
niente. E solo un primo passo. L’ateismo? Deve spingersi molto più avanti,
deve sopprimere anche la nozione di uomo».
Quello che il romanziere richiamava con queste
parole, Michel Foucault lo constatava per mezzo dell’analisi strutturale, in Le parole e le cose :
«L’uomo
è un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra facilmente la
data recente e forse la fine imminente».
Recidendo sé da Dio, suo Creatore, l’uomo ha imitato
il boscaiolo che si siede sul ramo che vuole tagliare. Questo accade, poiché li
egli si trova più comodo per poterlo segare nel suo punto d’innesto col tronco.
Ma se chi taglia non si ferma in tempo, cade anch’egli insieme al ramo. Tanto
meglio se è nell’acqua, come un contadino di mia conoscenza. Ora, la
liberazione profetizzata a partire dal XIX secolo ha assunto il carattere di
una caduta libera. Michel Foucault analizza in questo modo tale concatenarsi di
cose:
«Ai
nostri giorni, non è tanto la morte di Dio che si è affermata, quanto invece
la fine dell’uomo. (...) La morte di Dio e la fine dell’uomo hanno forti
correlazioni. (...) Secondo Nietzsche, è l’ultimo
uomo che annuncia di aver ucciso Dio. Ma, dal momento che lo ha ucciso, è
lui stesso che deve rendere ragione della sua finitezza. (...).
Più
che la morte di Dio, o piuttosto sulla sua scia e secondo una profonda
correlazione con essa, ciò che il pensiero di Nietzsche annuncia, è la fine del
suo omicida».
Assurdo e rovinoso
Hitler, l’uomo liberato — stando al pensiero
di Nietzsche — illustra bene una fatale catena di eventi. La liberazione del
superuomo provoca la morte di milioni di soldati, di milioni di Ebrei, di
Hitler medesimo, nelle rovine apocalittiche di Berlino.
L’ateismo comunista non è stato più fortunato.
Annunciava un paradiso. E ci fu il Gulag. La sua fine lascia dietro di sé un
ammasso di rovine e di violenze che oggi esplodono, spingendosi oltre quelle
costrizioni a lungo represse.
Non è andata meglio neppure al materialismo
pratico delle nostre società capitaliste. Il culto del denaro non ha fatto
sparire i poveri. Il culto del piacere non ha eliminato l’angoscia. Al
contrario.
La mitologia della morte di Dio era diventata
un fatto culturale così prestigioso da sedurre anche i cristiani. Durante gli
anni Sessanta, i teologi si sono messi a parlare con un certo gusto della
morte di Dio. I libri, in quel periodo, spuntavano
come funghi. Si trattò di un fatto effimero, ma era così di moda che dovetti scrivere
un libro per smascherare quell’illusione. La teologia, è la scienza di Dio, la
Parola di Dio. Ed ecco che essa onorava questo mito sacrilego. Tale
atteggiamento veniva giustificato dall’intento di purificare l’immagine di Dio nel cuore dei cristiani: «Noi
cattolici formalisti adoriamo un falso Dio, si diceva, un Dio-garante-dei
privilegi, un Dio-assicurazione-sulla-vita-eterna, in cambio di qualche
pratica superstiziosa e di molti dollari offerti alla Chiesa da ricchi
disonesti che vogliono rifarsi una buona coscienza, senza entrare in rapporto
con la vita di Dio».
Certamente, bisogna purificare le nostre
rappresentazioni a proposito di Dio, che spesso sono semplicistiche e
mediocri. Ma attaccando una «religiosità stile riserva indiana» per meglio
realizzare il Vangelo come pace, giustizia, fraternità, questi teologi d’una
fede senza religione svalutavano o distruggevano, più di quanto non credessero,
le radici della vita divina: la Chiesa, il sacro, i sacramenti, l’ordine e la
morale. La «fede senza religione» (dunque più pura!) che essi preconizzavano,
mancava del terreno senza il quale la vita deperisce. La terra è greve e
sporca. Ma, se manca, la pianta si dissecca, stando a quel che dice Gesù nella
parabola del buon seminatore. La religione può sembrare passibile di derisione
coi suoi riti, i suoi simboli, i suoi obblighi. Però tutti questi segni sono
legami insostituibili nel rapporto con Dio: l’umile scala per mezzo della
quale noi saliamo verso di Lui. Harvey Cox (protestante), che nella Città secolare celebrava la fede senza
religione, non ha tardato a cambiare parere celebrando la religione popolare,
ivi compresa quella cattolica.
L’ateismo non è un’invenzione moderna. Ci sono
degli antecedenti. Un salmo (profetico) comincia così:
«Lo stolto pensa: Non c’è Dio».
Già allora! Un bel po’ di secoli prima di Gesù
Cristo! Ma ascoltiamo il salmo. Comincia con questa parola: lo stolto. Sant’Anselmo spiegava: Chiunque
dice:
Dio non c’è, è uno stolto, poiché Dio è l’Essere necessario,
per essenza e per definizione. Dire: L’Essere
necessario non esiste è una contraddizione in termini. Dire: L’Essere perfetto non esiste è un non
senso, dal momento che non sarebbe più perfetto se mancasse dell’esistenza.
Si tratta della «prova ontologica»: la prova
che ha luogo per mezzo dell’Essere e della sua necessità misteriosa. Ne è
stata contestata la validità.
Petizione di principio, si obietta. Se
l’Essere necessario esiste, il ragionamento funziona, ma se non esiste, la definizione
non è che un mito, un pensiero privo di fondamento. E la prova crolla.
Sant’Anselmo era un grande contemplativo.
Possedeva una profonda percezione intuitiva di Dio, dal punto di vista stesso
di Dio. E, a questo livello, il suo discorso era giusto. Ed è ancora più giusto
per Dio stesso. Per l’Essere
necessario, trascendente, la piccola creatura a cui dona l’esistenza è
chiaramente insensata, pretenziosa e ridicola, soprattutto laddove proclama:
Dio non c’è. Tagliando in questo modo le proprie radici,
l’uomo distrugge se stesso.
La nostra società ha ucciso Dio, che in essa
non trova più posto. Egli è progressivamente sparito dall’ambito sociale e da
quello delle istituzioni. L’uomo si trova liberato da Dio, ma non da se
stesso. Né dal peccato. La morte di Dio, non dà vita a un uomo libero, bensì a
un essere preda delle sue pulsioni selvagge e folli. E la violenza, la droga,
il disordine. Oggi, questi fiori velenosi stanno proliferando. Le guerre
etniche si scatenano in Africa, in Europa e altrove. Le diverse mafie sfidano
l’ordine, la sicurezza, la società, la pace. La liberazione sessuale ha finito
per sostituire l’amore e la famiglia con l’erotismo, e nondimeno ci ha abbondantemente
gratificato con l’Aids. Gli stessi successi della tecnica hanno spesso reso
l’uomo schiavo dei suoi strumenti, che talvolta rendono schiava e distruggono
la sua umanità. Non diventiamo degli apprendisti stregoni!
E venuto il tempo di scacciare questi
ingannevoli miraggi, che troppo spesso hanno trasformato l’educazione — cioè
la formazione morale interiore e l’adesione al bene comune — in
una liberazione dei desideri. Il rilascio delle pulsioni egoistiche ostacola, o
cancella, la libertà del prossimo, e ci riporta in una giungla dove regna la
lotta per la sopravvivenza. Non si tratta forse di uno degli amari frutti
dell’arrivismo e dell’attivismo? Liberiamoci da queste liberazioni che
distruggono. E dalle loro mitologie.
Del resto, non è così facile, dal momento che
ne siamo prigionieri.
Continua….