articolo di sabato 03 aprile 2010
"Presi la Ru486: altro che aspirina, è uno choc" di Melania Rizzoli Il drammatico racconto di una donna: "I medici dicevano che non avrei avuto fastidi, invece è terribile. E devi fare tutto da sola". Intanto Cota e Zaia frenano: "Rispetteremo la legge"
Anna ha
34 anni,
è un
avvocato
toscano,
e nella
sua
regione,
nel
2005,
con la
pillola
Ru486,allora
in fase
sperimentale,
ha
abortito
un
figlio
indesiderato
concepito
con il
marito
che
stava
lasciando.
Ho
chiesto
ad Anna
di
raccontare
la sua
esperienza
personale,
naturalmente
garantendole
l’anonimato,
e lei ha
accettato.
«Intanto non è proprio una passeggiata, non è come mandare giù un’aspirina e via, anzi... dopo che hai ingoiato la prima pillola, sai che quel giorno stesso tuo figlio morirà, e resterà attaccato lì, morto, dentro il tuo utero... semplicemente il suo cuoricino, che il giorno prima hai ascoltato durante l’ecografia, smetterà di battere. Per sempre. È l'effetto della prima pasticca, che tu devi mettere in bocca da sola, perché da sola sei lasciata a sopprimere quella vita che tu stessa vuoi eliminare. Lo capisci subito la sera stessa che quel figlio è morto, perché senti improvvisamente sparire tutti quei segni di gravidanza che noi donne ben conosciamo, primo fra tutti il seno, di colpo non lo senti più turgido, te lo tocchi, lo palpi e non è più teso, quasi si affloscia, e sparisce anche quella piccola tensione del basso ventre tipica dei primi mesi di gravidanza». «E poi viene il peggio... perché devi aspettare! Devi aspettare tre lunghi giorni, nei quali continui a fare quello che hai sempre fatto, lavorare, camminare, mangiare, dormire, andare al cinema... cerchi cioè di distrarti, ma sai che hai quel “coso” morto lì dentro che deve essere eliminato, espulso, cioè abortito!». «Per me sono stati tre giorni terribili, già ero a terra per la separazione da mio marito, e come ultima punizione ora mi accingevo a separarmi dall’unica cosa che mi avrebbe legato a lui per sempre, e che in quel momento era l’ultima cosa che volevo». «In quei tre giorni, poi, hai tutto il tempo per pensare e riflettere su quello che ti è accaduto e che ti accadrà, hai il tempo per pregare e per piangere... io mi sentivo una specie di assassina in libertà... ma perché avevo accettato questo maledetto metodo, mi chiedevo, non era meglio far fare tutto al medico? Io sarei stata in anestesia, in sala operatoria, non avrei sentito né provato nulla, lui avrebbe operato e fatto tutto, io mi sarei risvegliata pulita e liberata dal mio problema, il tutto sarebbe durato meno di un’ora e non avrei avuto quelle sensazioni orribili dell’attesa». «Il terzo giorno mi sono ripresentata, senza aver dormito e con delle occhiaie così, in ospedale per la seconda pasticca. Anche quella ti viene messa in mano e sei tu che la devi mandare giù... sei tu l’unica e sola mandante e autrice di un piccolo omicidio, quello del tuo figlio mai nato, e senti che una parte di te sta per sparire per sempre, che non tornerà mai più ed è una sensazione solo tua, di solitudine, che non condividi nemmeno con l’anonima infermiera che ti consegna la pillola nella garza sterile. A quel punto però la ingoi subito perché speri che tutto finisca più in fretta possibile. Non sai ancora che, da quel momento, ti prepari ad assistere, a partecipare ed a effettuare il tuo “avveniristico” aborto terapeutico!». «Intanto, oltre alla situazione dolorosa, vieni pervasa dall’ansia dell’arrivo dei dolori fisici. Il medico durante il colloquio mi aveva spiegato bene che con la seconda pillola, una prostaglandina, sarebbe avvenuto una sorta di mini-travaglio, con qualche contrazione uterina, ripetute e ravvicinate, lievemente dolorose, ma essenziali per provocare il distacco del feto, ormai morto, dalla parete uterina e per la sua espulsione, e che comunque sarebbe stato eliminato facilmente, misto con del sangue... sarebbe stato cioè come avere delle mestruazioni più dolorose del solito, così mi disse». «Invece il dolore è stato molto più forte, le contrazioni molto più lunghe e la consapevolezza di quello che stava avvenendo rendeva tutto più nauseante, orribile e terribile insieme. Ed assistere a tutto questo è stato insopportabile. Ho pianto per il dolore fisico, ma soprattutto ho pianto per il dolore dell’anima, per la mia partecipazione attiva ad un evento che mai avrei voluto vivere ed osservare da così vicino».
«Poi,
quando
tutto è
finito,
quando
tutto è
compiuto,
la
procedura
ti
obbliga
anche a
verificare
di
persona
che
effettivamente
l’aborto
farmacologico
sia ben
riuscito,
per cui
ti viene
effettuata
l’ecografia
di
controllo,
che
trasmette
dallo
schermo
l’immagine
pulita
del tuo
utero
non più
“abitato”,
ma vuoto
e libero
dal
corpo
estraneo
che si è
medicalmente
voluto
eliminare...
non si
sente
più
nessun
battito
galoppante,
nessun
segno di
vita, ma
solo
silenzio
di
morte».
Anna è
seduta
di
fronte a
me e
sorride
amaramente.
Ha una
parrucca
bionda
in
testa, a
coprire
una
calvizie
da
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