Tratto da: Le Grandi Profezie Autore Franco Cuomo
Newton & Compton Editori
Le sibille Parte Prima
Rivestono un ruolo del tutto speciale
nello scenario magico greco-romano le sibille, che con le loro profezie a lungo
termine derogavano dalla consuetudine pagana di mantenere gli oracoli ancorati
all’attualità. Per questo, a differenza dei responsi formulati dagli auguri e
dalla maggior parte dei profeti operanti nell’antichità classica, i detti delle
sibille assumevano in molti casi la portata di rivelazioni escatologiche,
proiettate al di là dei millenni, verso un futuro nel quale si compivano i
destini finali dell’umanità. Erano, in altre parole, delle apocalissi
autentiche, analoghe per vari aspetti a quelle di matrice giudaico-cristiana.
Diversamente dagli altri veggenti
greci e romani, le sibille si pronunciavano sul futuro estremo del mondo,
oltre che sulle sorti dei comuni mortali da cui venivano consultate,
coinvolgendo nelle loro sentenze l’intero genere umano.
Parlavano per ispirazione divina — per «possessione del nume», scrive Eraclito
— e da invasate
«attraversavano con la voce migliaia di anni».1
La Cumana, sibilla di Virgilio e del Cristo
Esiste sulle sibille una vasta
letteratura di lingua greca e latina, ricca
di riscontri storici e leggendari.
Tra i primi a parlarne fu Platone, che ne elencò cinque: la Frigia, la Cumana,
l’Eritrea, la Delfica o Pizia, l’Ellespontina. Altre divennero popolari negli
anni successivi. Il romano Marco Terenzio Marrone2 giunse
a elencarne dieci: la Persica, la Libica, la Cimmeria, la Samia e la Tiburtina,
oltre quelle già nominate dal filosofo greco.
Altri autori ne parlano diffusamente:
Euripide nomina la Libica nel prologo della tragedia Lamia, Crisippo la
Delfica nel trattato Sulla divinazione, Nevio la Cimmeria nel quarto
libro del poema sulla guerra punica, Eratostene la Samia, Pausania e Apollonio
l’Eritrea, e così via di seguito, aggiungendone spesso delle nuove.
Ma la testimonianza di maggiore
rilievo epocale riguarda la Cumana, sulla quale Virgilio si sofferma sia nell’Eneide
che nella Egloga IV, attribuendole
una profezia che in età medievale è stata poi interpretata come premonitrice
della venuta del Cristo.
Giunge ormai l’ultima età della profezia
cumana,
riprende dall’inizio il ciclo dei grandi
secoli,
torna persino la Vergine,
tornano i regni di Saturno,
una nuova razza ci viene inviata dall’alto
dei cieli.
Tu sii benevola, casta Lucina, al fanciullo
che ora nasce,
la cui venuta porrà finalmente fine alla
razza del ferro
per fare sorgere in tutto il mondo quella
dell’oro...
Per questi versi dell’Egloga, scritti
quarant’anni prima della nascita di Gesù, Virgilio si acquistò fama di grande
iniziato e, quel che più conta in un’ottica cristiana, di vaticinatore dell’era
evangelica. All’impressione che suscitarono nei circoli culturalmente più
evoluti della cristianità medievale si deve in misura forse decisiva l’elevazione
del poeta latino, da parte di Dante, a propria guida e maestro in
quell’itinerario infernale della Divina Commedia che più da vicino
ricorda gli scenari dell’oltretomba pagano.
Appare sorprendente tuttora, del
resto, la collocazione del tempo della nascita del divino fanciullo in apertura
di un miracoloso ciclo di ricorsi storici, volti a riprodurre l’originaria
felicità dell’età dell’oro — il
ritrovamento, in altre parole, dell’Eden perduto — attraverso un processo di rigenerazione universale.
Di minore interesse esoterico, poiché
riferita a eventi passati e già noti al poeta, è la profezia contenuta invece
nel libro VI dell’Eneide, dove Enea apprende che nel Lazio si compiranno
i suoi grandi destini; e che suoi discendenti saranno i re albani, Romolo, la
gente Giulia. E però di grande interesse antropologico, poiché se ne ricava
un’idea di quale sconvolgimento psicofisico potesse provocare nella veggente lo
sforzo divinatorio, la descrizione della trance che precede il vaticinio.
La sibilla si trasfigura paurosamente. Cambia non
soltanto l’espressione del viso, ma la voce e perfino la
statura. Cresce in lei fisicamente «la forza ormai vicina del dio». Finché
d’un tratto, né il volto le resta, né uno il
colore,
non pettinati i capelli, ma gonfia il petto
l’affanno,
fiero il cuore si riempie di rabbia,
è più grande a vedersi, né umana suona la
voce...
Virgilio indica anche il metodo di cui la veggente si
avvale per predire il futuro, servendosi di foglie sparse
nell’antro, sulle quali scrive le proprie sentenze. E probabile che in realtà
consistesse nel trarre responsi dal rimescolamento delle foglie, provocato da
improvvise folate di vento.
...E in sulle foglie ripone i fati: in sulle
foglie [...] scrive ciò che
prevede,
e ne la grotta distese e ordinate, ove sian
lette, le lascia.
È lei ad allinearle «ad uopo de’ mortali», ma
il vento talora le disturba
e van per l’antro in volo.
Così, per la profonda conoscenza che
il poeta dimostra di avere dei misteri dell’antichità, oltre che per la
profezia sulla imminente nascita del Salvatore, prenderà corpo in età medievale
la tradizione di Virgilio mago, culminata nella consuetudine popolare di trarre
previsioni dai versi delle sue opere. Favorirà la diffusione di questi oracoli
virgiliani la semplicità del metodo abitualmente usato per la
consultazione, che consisteva nell’aprire a caso il volume, cercando una
risposta al proprio quesito nel primo verso della pagina, magari combinato con
altri secondo una numerazione precedentemente convenuta.
La Persica, la Libica, la Delfica e le altre
Ogni sibilla aveva la sua
particolarità storica o leggendaria, con agganci tanto alla tradizione
mitologica che biblica. La Persica era considerata nuora di Noè, la Libica
figlia di Giove, la Delfica traeva il suo potere dall’uccisione del mostruoso
serpente Pitone, trafitto da una freccia di Apollo, donde l’appellativo di
vergine Pitonessa o Pizia. Quest’ultimo non indicava una singola veggente, ma — com’era d’uso comune nella nomenclatura
sacerdotale dell’antichità — tutte
coloro che si succedevano a profetare nel santuario di Apollo a Delfi, meta di
pellegrinaggio per secoli.
Si deve alla notorietà di questo
tempio, uno dei più frequentati nel mondo ellenico, se la sua sibilla è tra
quelle di cui si è maggiormente parlato nell’antichità. Si sa da Diodoro Siculo3 che le sacerdotesse di Apollo delfico
dovevano essere nei tempi più antichi vergini e giovanissime, ma che in
seguito al rapimento di una di esse, la bella Echecrate, si stabilì che non
potessero avere meno di cinquant’anni.
Si sa inoltre che la Pizia pronunciava
i suoi oracoli una sola volta l’anno, e che a quella data Delfi veniva
praticamente invasa da migliaia di devoti. La veggente digiunava tre giorni e
si bagnava in una fonte consacrata ad Apollo. Masticava delle foglie di alloro
e altre erbe che la predisponevano alla veggenza. Si accomodava quindi a gambe
larghe su di un tripode in corrispondenza di un orifizio del terreno dal quale
usciva un fumo inebriante, che si credeva provenisse dai resti del mostro ucciso
dal dio, e attendeva. Quando il fumo l’aveva del tutto avvolta e penetrata
fisicamente, come sembrava voler simbolizzare la posizione apparentemente
sconcia da lei assunta sul tripode nell’intento di aprire il suo corpo alla
possessione divina — la
Pizia cadeva in trance, profetizzando. In tal modo la sacerdotessa «si
abbandonava al soffio del suo dio», scriveva Giamblico ancora nel IV secolo
dopo Cristo, «e ne era illuminata»4
Sembra che sia stata lei, la Delfica,
a fregiarsi per prima del nome di sibilla (che in dialetto eolico significava
“colei che reca il consiglio degli dèi”: da sisis, “dèi”, e boullan, “consigliare”)
anche se la Libica è generalmente indicata come la più antica.
Si dice che pure quest’ultima sia
stata per un certo periodo a Delfi, predicendo il futuro sotto il nome di
Trofile. Ma tracce della sua presenza leggendaria si riscontrano anche a Samo,
a Claro e in diversi altri santuari.
Se ne deduce che la fama delle sibille
non era sempre radicata in un determinato luogo, antro o santuario, ma che
spesso il viaggio rappresentava lo sfogo essenziale della loro ricerca. Anche
in questo caso, tuttavia, non può dirsi che a un nome dovesse necessariamente
corrispondere un’unica donna, essendo di gran lunga più verosimile che diverse
iniziate — in
tempi e luoghi diversi — si
ritrovassero nel solco di una medesima tradizione.
Sostiene saggiamente Lattanzio,5 uno dei primi scrittori cristiani a occuparsene, che gli
stessi loro nomi avrebbero un valore puramente convenzionale: «Dovremmo
chiamarle tutte Sibilla», dice nel suo manuale delle Divine istituzioni, «senza
fare distinzioni, ogniqualvolta abbiamo bisogno di ricorrere alla loro
testimonianza».
Tra le più girovaghe delle sibille per
così dire itineranti, la cui presenza è registrata in più luoghi, figura
accanto alla Libica la Samia, che debuttò come sacerdotessa nel tempio di
Apollo a Samo, donde il nome, per poi intraprendere una serie di viaggi che la
portarono a esercitare l’arte profetica in Frigia. Laggiù le sarebbe stato
eretto un monumento nel tempio di Apollo Sminteo, presso il quale si troverebbe
il suo sepolcro, contrassegnato da una colonna con sopra iscritta un’epigrafe:
Io sono la
rinomata Sibilla che Apollo scelse per interpretare i suoi oracoli, vergine
eloquente, ora muta sotto questo marmo e ad eterno silenzio condannata. Il
favore del dio, benché morta, mi concede la compagnia di Mercurio e delle ninfe
a me care.
Simulacri di Mercurio e di ninfe
adornerebbero, a quanto si tramanda, questa tomba introvabile tra le rovine
della perduta città di Marpessa, in prossimità di un corso d’acqua.
Eritrea, una indovina dai natali controversi
Molto popolare tra le genti dell’Asia Minore era la
sibilla Eritrea, ritenuta di origine babilonese o, secondo la
testimonianza di Apollodoro,6 ionica. Prevalse la seconda ipotesi,
che la voleva nativa di Eritre, città famosa per i vini e le indovine sulla
penisola di Mimas (attuale Karaburun in Turchia), fondata dai cretesi, colonizzata
dagli ioni, assoggettata dagli ateniesi (nel 453 avanti Cristo) e
successivamente dai persiani.
Tale varietà di dominazioni giustifica
la fama cosmopolita di questa veggente, alla quale si attribuisce tra l’altro
la profezia della guerra e della caduta di Troia. Predisse che un grande poeta
cieco ne avrebbe cantato la storia, ma questo sconvolge la teoria di Apollodoro
sulla sua nascita, poiché la saga di Troia risale al secolo XI avanti Cristo e
i poemi omerici all’VIII, molto tempo prima che fosse fondata la città di
Eritre.
Questa sibilla dai natali contesi tra
le due grandi civiltà di Babilonia e Creta è anche indicata come autrice di un
inno ad Apollo da Pausania il Periegeta, così chiamato per la compilazione di
un’opera geografica dal titolo Periegesi della Grecia, nella quale sono
raccolte nozioni d’ordine storico, mitologico e leggendario, oltre che
scientifico, sulle terre del Peloponneso.7
Da remote nebbie barbariche, lontane dalla solarità
ellenica e mesopotamica, sembra emergere invece la sibilla Cimmeria, anche se
la sua fama è collegata da Nevio e Pisone a vicende
mediterranee, come le guerre tra Roma e Cartagine. La sua leggenda sarebbe
infatti entrata nella tradizione mitologica greca attraverso le migrazioni di
tribù nomadi (i cimmeri) provenienti dalle rive del mar d’Azov sotto l’incalzare
degli sciti. Se ne sa poco: vivevano intorno all’anno Mille avanti Cristo in Tauride, ma furono costretti a riparare
in Assiria e, dopo esserne stati scacciati, in Lidia. Si estinsero dopo essere
stati respinti anche da lì, disperdendosi verso l’Europa, dove vennero presumibilmente
assorbiti dai cimbri.
Avevano maggiore fama
di stabilità la Sibilla Frigia, radicata nella città di Ancyra, e l’Ellespontina, famosa nella Troade ai tempi di Ciro il Grande e di Solone. Particolarmente
venerata dai romani era poi la Tiburtina, il cui culto veniva praticato a
Tivoli. Varrone la chiama anche Albunea. Era molto popolare negli insediamenti
pastorali lungo le rive dell’Aniene, nelle cui acque venne rinvenuta una sua
statua con un libro in mano.
Detentrice tuttavia di ogni primato presso i romani fu la
citata sibilla Cumana, e non soltanto per la fama che le diede Virgilio. Ai
suoi oracoli sono infatti vincolate le sorti di Roma fino dall’età mitica dei
re. Fu lei, secondo una leggenda divenuta canone religioso e politico, a
vendere a Tarquinio Prisco (secondo altri a Tarquinio il Superbo, il che non
sposta la questione se non dal quinto al settimo re di Roma, con neanche un
secolo di scarto) i famosi Oracoli sibillini, contenenti il segreto dei fati futuri della città (Fata
urbis Romae).
Continua….
1 Eraclito di Efeso
(VI-V secolo a.C.), Della natura. Rimangono
dell’opera soltanto frammenti e citazioni sparse di Aristotele, Clemente Alessandrino,
Plutarco, Diogene Laerzio e altri scrittori, dalle quali si deduce ch’era
divisa in tre parti, riguardanti l’universo, la politica e la teologia. Si sa
di questo filosofo che discendeva da una famiglia di re-sacerdoti e credeva in
un arké originario di tutte le cose,
che identificava nel fuoco.
2 Si attribuiscono
a Varrone (116-27 a.C.) settantaquattro opere per un complesso di seicentoventi
libri, perduti o pervenuti in frammenti, tranne il De re rustica. Riferimenti al mondo magico e divino erano
riscontrabili nell’opera monumentale Antiquitatum
libri XLI, divisa in una sezione delle cose umane (Rerum humanarum) e una delle cose divine (Rerum divinarum).
3 Diodoro di Sicilia (I secolo a.C.) pubblicò nel 21 a.C. una storia
universale in quararta libri (la Biblioteca
storica), che dai tempi piu remoti arrivava alla conquista delle Gallie da
parte di Cesare.
4 Giamblico di
Calcide (275-330 circa), Risposta del
maestro Abammone alla lettera di Porfirio ad Anebo e soluzione delle difficoltà
che vi si trovano, comunemente pubblicata oggigiorno sotto il titolo Misteri egiziani. E tra le poche opere
pervenute di questo autore che fu tra i più profondi conoscitori degli antichi
culti, con particolare riguardo alla magia e alle tecniche divinatorie. Scrisse
una Teologia caldaica in ventotto
libri, un trattato Sull’anima e uno Sugli dèi, andati perduti.
5 Cecilio Firmiano
Lattanzio (240-320 circa) fu tra i primi apologeti della nuova religione
cristiana. L’imperatore Costantino lo nominò precettore del figlio Crispo. Le
sue Divinae institutiones sono un
manuale di fede cristiana. Scrisse inoltre un trattato sulla Provvidenza (De opificio Dei) e uno sull’ira di Dio (De ira Dei).
6 Apollodoro di Atene (180-115 circa a.C.) tracciò una cronistoria
essenziale dell’antichità nei Cronici, risalendo
fino alla guerra di Troia. Ma al di là della ricerca storica, tramandò copiose
informazioni di carattere mitologico nel trattato denominato Biblioteca, rifacendosi a numerose fonti
antecedenti.
7 Pusania visse nel II secolo dopo Cristo, probabilmente in Lidia. La sua Periegesi
è preziosa, tra l’altro, per le citazioni e i riferimenti a scrittori
andati perduti.