Tratto da: Le Grandi Profezie 

Autore Franco Cuomo

 

Newton & Compton Editori

 

L'ultimo Papa  Quarta e ultima parte

 

Coliseus stabit et Roma.

Quando cadet Coliseum, cadet et Roma.

Quando cadet Roma, cadet  et  mundus.

 

" Il Colosseo resisterà e anche Roma.

 Quando cadrà il Colosseo cadrà anche Roma.

 Quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo."

 

 

75. De antiquitate urbis (Dall'antica città). Gregorio XIV (1590-1591) veniva dall'antica città di Cremona, fondata nel 218 avanti Cristo come avampo­sto romano, ma non basta per dare un senso compiuto alla sentenza. Che potrebbe riferirsi all'intervento nelle guerre di religione in Francia da parte del nuovo pontefice, il quale scomunicò Enrico IV e inviò (da Roma, l'anti­ca città) un corpo di mercenari. In molti hanno interpretato la scomunica come estromissione dall'antica città della Chiesa. È significativo comun­que, da un punto di vista storico, che le profezie di Malachia vennero rese note per la prima volta nel corso del conclave che elesse questo papa, con l'intento di strumentalizzarne il pronostico a favore del cardinale Girolamo Simoncelli, proveniente da Orvieto. Si tentò infatti di giocare sull'etimolo­gia di tale località, che in latino sarebbe urbs vetus, cioè città antica, per avallarne la candidatura. Ma fu eletto il cardinale Niccolò Sfrondati di Cremona, cui il motto dovette con una certa fatica adattarsi.

 

76. Pia civitas in bello (La pia città in guerra). Innocenzo IX (1591) avverti in maniera sensibile il peso delle guerre di religione in Francia, nelle quali il papato era stato coinvolto dal suo predecessore. Per pia città non è da intendersi necessariamente Roma. Potrebbe trattarsi di Parigi, lacerata da stragi tra cattolici e ugonotti.

 

77. Crux romulea (La croce romulea). Clemente VIII (1592-1605) apparte­neva alla famiglia Aldobrandini, che vantava ascendenze tra i primi cri­stiani. Aveva perciò sullo stemma una croce romana, cioè romulea.

 

78. Undosus vir (L'uomo simile all'onda). Leone XI (1605) passò nella sto­ria della Chiesa come un'onda. Il suo pontificato durò venticinque gior­ni.

 

79. Gens perversa (Razza perversa). Paolo V (1605-1621) dovette misurarsi con eventi di particolare crudeltà umana, come lo scoppio della guerra dei Trent'anni. Diede inoltre grande impulso alle missioni in Africa, in Asia e nelle Americhe, presso popoli considerati perversi. Ma fu egli stesso accusato di grande malvagità, e fece tra l'altro condannare a morte l'autore di un libello, nemmeno dato alle stampe, che lo parago­nava per efferatezza a Tiberio.

 

80. In tribulatione pacis (Nel travaglio della pace). Gregorio XV (1621-­1623) fu mediatore di pace ma si lasciò anche coinvolgere in guerre sanguinose, come quella dei Trent'anni. Pesante fu sui conflitti dell'e­poca l'ipoteca religiosa: alla firma di un trattato con l'impero ottomano, nel 1621, fece da contraltare la feroce guerra intrapresa dalla Polonia contro gli eretici.

 

81. Lilium et rosa (Il giglio e la rosa). Urbano VIII (1623-1644) proveniva da Firenze, città del giglio. Indisse il processo per la beatificazione di Rita da Cascia, una delle più popolari sante della cristianità, che ha per emblema la rosa. Ma la sentenza potrebbe anche riferirsi alla guerra esplosa durante il suo pontificato tra Francia (il giglio) e Inghilterra (la rosa).

 

82. Iucunditas crucis (La letizia della croce). Innocenzo X (1644-1655) fu eletto papa il 14 settembre, giorno dell'esaltazione della croce.

 

83. Montium custos (Il custode dei monti). Alessandro VII (1655-1667) aveva nello stemma colline sormontate da una stella. Costituì a Roma i Monti di Pietà, istituzione destinata a conservare un grande rilievo eco­nomico e sociale.

 

84. Sidus olorum (L'astro dei cigni). Clemente IX (1667-1669) fu eletto papa nella Sala dei Cigni. Tenne in gran conto poeti e artisti.

 

85. De flumine magno (Dal grande fiume). Clemente X (1670-1676) diven­ne papa in un giorno di piena del Tevere. Ma si racconta anche che, alla sua nascita, il fiume straripò e le acque invasero la camera in cui si tro­vava la culla, che galleggiò.

 

86. Bellua insatiabilis (Belva insaziabile). Innocenzo XI (1676-1689) fu detto ironicamente insaziabile perché non poteva stare un attimo senza Cibo, alludendo all'intimità con il cardinale di tale nome, che frequen­tava assiduamente. La belva era il leopardo sullo stemma di famiglia.

 

87. Poenitentia gloriosa (Penitenza gloriosa). Alessandro VIII (1689-1691) fu eletto papa il giorno di san Brunone, grande penitente della Chiesa. Ma trattandosi di una penitenza gloriosa è pensabile che il motto alluda al pentimento di Luigi XIV sul letto di morte per le vessazioni nei con­fronti della Chiesa in Francia.

 

88. Rastrum in porta (Il rastrello nella porta). Innocenzo XII (1691-1700) era della famiglia Pignatelli del Rastello, il cui palazzo gentilizio era un tempo alle porte di Napoli. Si può dare un senso politico al motto, rife­rendolo alle perdite territoriali dell'impero ottomano, detto la Porta, in seguito alle vittorie russe.

 

89. Flores circumdati (I fiori circondati). Clemente XI (1700-1721) fece coniare dopo l'elezione una medaglia nella quale il suo stemma appari­va circondato da fiori, con dicitura latina «Flores circumdati».

 

90. De bona religione (La buona religione). Innocenzo XIII (1721-1724) si distinse nel tentativo di far discernere al popolo tra la buona religione e il giansenismo.

 

91. Miles in bello (Soldato in guerra). Benedetto XIII (1724-1730) tentò di imporre a Roma un'austerità estrema, infliggendo il carcere a quei pre­lati che portavano barbe o parrucche, vietando il lotto e facendo perse­guire le prostitute dall'inquisizione. La sua missione si risolse dunque in una vera e propria guerra morale, confondendo le cose dello Stato e quelle dell'anima alla maniera degli integralisti islamici. Ma questo, per quanto indicativo, non basta a spiegare il motto di Malachia.

 

92. Columna eccelsa (La colonna eccelsa). Clemente XII (1730-1740) era un Colonna, diede grande impulso alle opere pubbliche e fece erigere il colonnato di San Giovanni in Laterano.

 

93. Animal rurale (Animale di campo). Benedetto XIV (1740-1758), il geniale papa Lambertini, fu paragonato per le sue doti intellettuali al bue di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa.

 

94. Rosa Umbriae (Rosa dell'Umbria), Clemente XIII (1758-1769) fu governatore della provincia umbra di Rieti. Fu paragonato per il suo carattere dolce a una rosa. Morì per l'assillo di dover prendere una decisione sulla soppressione, impostagli da forti pressioni estere, del­l'ordine dei gesuiti.

 

95. Ursus velox (L'orso veloce). Clemente XIV (1769-1774) sciolse senza indugio la Compagnia di Gesù. Il motto potrebbe alludere alla precipi­tosità spesso irragionevole delle sue decisioni, ma anche, più gloriosa­mente, alle veloci vittorie riportate dall'orso russo sui turchi ottomani durante il suo pontificato.

 

96. Peregrinus apostolicus (Pellegrino apostolico). Pio VI (1775-1799) fu trascinato in doloroso pellegrinaggio dai francesi che lo fecero prigioniero: a Firenze, Siena, Bologna, Parma, Torino e infine in Francia, dove morì.

 

97. Aquila rapax (L'aquila rapace). Pio VII (1800-1823) fu fatto anche lui prigionero dalla rapace aquila napoleonica, che privò in pratica il papato del potere temporale.

 

98. Canis et coluber (II cane e il serpente). Leone XII (1823-1829) fu giu­dicato fedele come un cane (agli interessi della Chiesa) e insidioso come un serpente (nei confronti dei suoi nemici). Il cane potrebbe anche indicare la vigilanza imposta dal suo regime poliziesco contro la serpe della carboneria, che gli tramò implacabilmente contro.

 

99. Vir religiosus (Uomo religioso). Pio VIII (1829-1830) si distinse per il suo generoso e incondizionato spirito di pietà, espresso anche dalla sua tolleranza verso i carbonari.

 

100. De balneis Etruriae (Dai bagni dell'Etruria). Gregorio XVI (1831-­1846) proveniva dai camaldolesi di Balneis in Toscana (Etruria), il cui monastero era in prossimità delle salutari fonti di Moggiona.

 

101. Crux de cruce (Croce da croce). Pio IX (1846-1878) vide la croce dei Savoia sovrapporsi a quella della Chiesa. Fu questa, in senso spirituale la sua croce: tutto un succedersi di traversie procurategli dalla croce di cui era tenuto, come pontefice, a difendere l'indipendenza.

 

102. Lumen de coelo (Lume dal cielo). Leone XIII (1878-1903) aveva per emblema una cometa che attraversa il cielo. Ma anche in senso metaforico il suo pontificato fu illuminante per il coraggio delle istan­ze sociali di cui si fece promotore, lanciando tra l'altro un fermo ana­tema contro lo sfruttamento del lavoro, incluso come l'omicidio tra i peccati che «gridano vendetta al cospetto di Dio».

 

103. Ignis ardens (Fuoco ardente). Pio X (1903-1914), il popolare papa Sarto, fu animato da una religiosità che può senza retorica parago­narsi a un fuoco ardente. Conservò l'umiltà e le abitudini del prete di campagna che era stato, non volle titoli per i propri parenti, lasciò che il fratello restasse modesto impiegato alle poste. Incurante delle critiche moderniste, mise uno speciale fervore nella salvaguardia degli antichi valori contro certe diffuse manifestazioni di intolleran­za laica. Al fuoco della santità si sovrappose, quando morì, quello tragico della guerra mondiale.

 

104. Religio depopulata (La religione spopolata). Benedetto XV (1914-­1922) vide la società del suo tempo spopolata dalla più terribile guerra mai combattuta fino allora.

 

105. Fides intrepida (Fede intrepida). Pio XI (1922-1939) tenne intrepidamen­te testa ai regimi totalitari, lanciando anatemi contro nazismo e comuni­smo. Impose al fascismo un concordato a tutto vantaggio della Chiesa.

 

106. Pastor angelicus (Pastore angelico). Pio XII (1939-1958) fu il pastore che angelicamente condivise le sofferenze del suo gregge nella tempe­sta della seconda guerra mondiale. L'interpretazione appare generica e sbiadita. Acquista però una maggiore consistenza se riferita alle perse­cuzioni subite dal clero nei paesi comunisti (anche a livello di alte gerarchie, come nel caso del cardinale Mindszenty). Sotto questo aspet­to la profezia trova riscontro in quella di Fatima, che preannuncia un'e­catombe per la quale «il Santo Padre avrà molto da soffrire». Parla di «regno umano dell'Angelico genitore» anche Nostradamus (nella X Centuria, quartina 42)3 alludendo in tal modo a un papa che cerca di sal­vaguardare unione e pace nell'infuriare di una guerra esplosa a metà del suo pontificato («nel mezzo della sua clausura»), come fu in effetti per Pio XII.

3 Le regne humain d'Angelique geniture,lfera son regne paix union tenir, l captive guerre demy de sa closture, / long temps la paix leur fera maintenir (Nostradamus, x, 42).

 

107. Pastor et nauta (Pastore e navigante). Giovanni XXIII (1958-1963) fu patriarca di Venezia ed ebbe sul proprio emblema una barca con la vela spiegata. Aprì la consuetudine dei lunghi viaggi pastorali.

 

108. Flos florum (Fiore dei fiori). Paolo VI (1963-1978) aveva dei fiordalisi nel suo stemma gentilizio. La sentenza rientra tra quelle di citazione araldica, le più ricorrenti nell'oracolo di Malachia, ma può anche rife­rirsi all' estrema gentilezza d'animo di papa Montini.

 

109. De medietate lume (A metà di una luna). Giovanni Paolo I (1978) fu pontefice per trentatré giorni. Morì alla metà del mese lunare.

 

110. De labore solis (La fatica del sole). Giovanni Paolo II, pontefice dal 1978, è contrassegnato da un motto che, interpretato letteralmente, potrebbe riferirsi alla ricerca per lo sfruttamento di nuove fonti ener­getiche, tipica del nostro tempo, della quale sono emblematicamente rappresentativi i risultati raggiunti in materia di energia solare. Ma il termine lavoro, nell'accezione latina, significa anche travaglio o sof­ferenza. Può dunque intendersi la profezia come sottolineatura del generale malessere che affligge l'umanità, con particolare riguardo a quelle piaghe planetarie - fame, tensioni, violazione dei più elementa­ri diritti umani - che sono oggi alla luce del sole, anche per l'esten­sione capillare della grande comunicazione. C'è infine da tenere conto della grande stanchezza di questo papa itinerante, sempre in giro per il mondo nonostante l'età e i postumi di una ferita dolorosa, che può fornire ulteriori chiavi di lettura per una comprensione profonda del­l'immagine proposta.

 

111. De gloria olivae (La gloria dell'olivo). Il motto parrebbe preconizzare un momento di pace, ma anche - come frequentemente accade nelle sentenze di Malachia - l'ascesa di una persona collegata in qualche modo, per ragioni araldiche o di altra natura, al simbolo dell'olivo. Potrebbe in tal senso interpretarsi come l'avvento definitivo nella città di Roma - i cui destini sono scaramanticamente legati, come si è detto, a quelli del papato - di una forza che si esprime nel segno dell'olivo. Potrebbe più verosimilmente riferirsi a Gerusalemme, preconizzando l'esito felice del processo di pace tra palestinesi e israeliani. Potrebbe anche significare un decisivo evolversi dell'ecumenismo cristiano. Letta comunque in superficie, per la valenza pacifica dell'immagine su cui si fonda, la profezia si direbbe di buon auspicio. Appare però sini­stro il seguito, che ripropone tradizionali scenari apocalittici. La gloria dell'olivo sarebbe dunque effimera, se si considera ciò che l'oracolo prevede per gli anni immediatamente successivi.

 

112. Petrus romanus. A differenza delle altre sentenze, questa che riguarda l'ultimo papa è accompagnata da una nota esplicativa. Vi si legge che il secondo Pietro regnerà nel momento di «estrema persecuzione della Santa Romana Chiesa», pascolando le sue pecore «tra molte tri­bolazioni, al termine delle quali la città dei sette colli sarà distrutta e il Giudice tremendo giudicherà il suo popolo».4 Tutto questo dovreb­be accadere intorno al Duemila. Si ha l'impressione che il motto voglia contraddistinguere, più che una persona fisica, una situazione storica.

4"In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus, quibus transactis, civitas septicolis diruetur et Iudex tremendus iudicabit populum suum. Amen.

 

Il «legno della vita»

Ci sono buone ragioni per ritenere apócrife le profezie di Malachia. E tale è il parere della Chiesa, sorretto dalle argomentazioni dei padri bollandisti, così chiamati dal nome del gesuita belga Jean Bolland, fondatore nel 1643 di una nuova storiografia ecclesiastica, tendente a inquadrare le vite dei santi e ogni altro argomento d'interesse agio­grafico in un'ottica scientifica.

Appare sospetto in primo luogo il fatto che se ne sia cominciato a parlare soltanto nel 1590 (a 442 anni dalla morte del presunto autore) e nel corso di un conclave, con l'evidente finalità di influenzarne l'e­sito.

Non dirada tali perplessità la pubblicazione, avvenuta nel 1595 a cura di un monaco benedettino di origine fiamminga, tale Arnold de Wion, nato a Douai, che trascrisse le sentenze in un'opera dedicata a Filippo II di Spagna dal titolo Lignum Vitae, ornamentum et decus Ecclesiae (cioè Il Legno della vita, ornamento e decoro della Chiesa) senza fornire adeguate indicazioni sul modo in cui ne sarebbe venuto in possesso.

La denominazione del volume ha una forte valenza esoterica, oltre che religiosa, poiché il Legno della vita nella simbologia cristiana indica la croce, ma in senso più ermetico può intendersi come Bosco dell'esistenza. In tale cornice l'autore inserisce senza un'apparente ragione, accanto alle vite dei benedettini illustri, quella che chiama «una certa profezia sui sommi pontefici», asserendo di essersi deciso a divulgarla «poiché è corta, non è mai stata stampata e molti deside­rano conoscerla».

È certamente strano, come rilevarono i bollandisti, che all'oracolo non abbia fatto cenno alcun contemporaneo di Malachia, che pure godeva di notevole fama nella cristianità in quanto primate d'Irlanda, ma è addirittura sconcertante che non ne parli neppure Bernardo di Chiaravalle, tra le cui braccia spirò il veggente, suo confratello nel­l'ordine cistercense. Tanto più che Bernardo scrisse un'appassionata biografia di Malachia, riportando altre sue profezie, che certo ebbero il loro peso nella causa di canonizzazione, indetta nel 1190 da Cle­mente III, il papa indicato come colui che «esce dalla scuola».

Un altro argomento addotto dai bollandisti contro l'originalità del testo è la confusione che fa l'autore tra papi e antipapi, senz'ombra di discrimine. Ma si potrebbe controbattere a questo rilievo che la con­fusione sulle lacerazioni scismatiche fu tale nella Chiesa da trarre spesso in inganno i suoi più devoti servitori. Così come ci si potrebbe domandare se le profezie non siano state tenute segrete dai loro depo­sitari, nell'ordine cistercense o nelle gerarchie pontificie, per evitare che interferissero nella libera elezione dei papi; almeno fino a quan­do, per essere state rese note dal Wion, una simile esigenza venne meno.

In definitiva, le opinioni espresse nei secoli sulle profezie di Ma­lachia furono molteplici e discordi. Tra i primi a negarne l'autenti­cità, dopo la divulgazione da parte del Wion, fu il sacerdote Francois Carrière con una sua Storia cronologica dei pontefici romani e preco­gnizione di quelli futuri secondo san Malachia (Lugduni, 1602). Gli si opposero Gabriele Buccellino con un'ampia trattazione nel suo Nucleo storico universale (Ulm, 1659) e Pietro Graffio con una pon­derosa Disputa storica sulla successione dei pontefici romani (Marburg, 1677). Nel 1689, a meno di un secolo dalla pubblicazione del Lignum di Wion, si contavano almeno dieci edizioni diverse del­l'oracolo, contro il quale si scagliarono con particolare fervore, a questo punto, i bollandisti, propugnatori di verità fondate su basi razionali e comprovabili certezze. Si fece portavoce di questa pole­mica, in specie, il gesuita Claude-Francois Menestrier, con un trattato denominato Filosofia delle immagini enigmistiche (Lione, 1694), nel quale confuta «stravaganze, anacronismi e falsità palesi delle sedi­centi predizioni di San Malachia, fondate per la maggior parte su dei nomi presunti e dei blasoni all'epoca quasi del tutto sconosciuti».

Sono questi i presupposti dialettici di una disputa che nemmeno l'il­luminismo è riuscito a soffocare e che dura tuttora, contrapponendo le ansie escatologiche di quanti attribuiscono alle discusse predizioni di Malachia una credibilità apocalittica - nel senso lessicale di rivela­zione oltre che di funesto presagio - e quanti invece le collocano tra le curiosità divinatorie di fine millennio. Non esistono possibili punti d'incontro tra le due posizioni. Gli uni escludono che la provvidenza possa dare ragione alla «burla di un cardinale umanista e letterato che aveva del tempo da ammazzare durante un conclave». Gli altri rispondono citando l'apostolo Paolo: «Non spegnete lo spirito. Non disprezzate le profezie».